Situazione ancora confusa a Tripoli dopo la prova di forza andata in scena ieri per iniziativa del Fronte Al Samoud, una delle tante milizie attive nel complesso scenario libico, che ha circondato con decine di mezzi militari i palazzi del potere, o presunto tale, della capitale, a cominciare da quello del Consiglio presidenziale libico e da quello che ospita il Governo di unità nazionale. Senza incontrare praticamente resistenza e senza suscitare reazioni, a quanto pare, né da parte presidenziale né da parte governativa.

LA BRIGATA guidata da Salah Badi, originaria di Misurata, nella notte aveva fatto seguire i fatti a una dura dichiarazione del suo comandante contro il voto presidenziale previsto per il 24 dicembre – e per il cui annullamento o rinvio manca ormai solo l’annuncio ufficiale. Veicoli carichi di miliziani pesantemente armati ancora ieri stazionavano in varie zone del centro e lungo la corniche. In un clima di alta tensione, non segnato tuttavia da particolari violenze.
L’obiettivo di Badi è sì quello di far saltare il voto, ma all’origine dello strappo pare ci sia la sostituzione del comandante del distretto militare di Tripoli, Abdel Basset Marwan, con Abdel Qader Mansour, coinvolto nelle operazioni militari Fajr Libia, Al Bunyan Al Marsous e Vulcano di rabbia. È l’uomo che ha guidato la sala operativa di Tarhuna dopo averla liberata dalla milizia Al Kaniyat, gruppo criminale considerato responsabile di atrocità che hanno lasciato tracce evidenti nelle fosse comuni scoperte 80 km a sud della capitale.

Mansour, quasi una testa di ponte garante dell’influenza turca sull’irrisolta crisi libica – come confermano fonti locali a Agenzia Nova – , è legato alla 444ma Brigata di Mahmoud Hamsa, esponente salafita in conflitto con la filo-tripolina Autorità di supporto alla stabilità (Ass) di Abdelghani al Kikli, già leader dei martiri di Abu Slim, a capo della Forza speciale di deterrenza (Rada).

Sullo sfondo ma non troppo il tentativo mercoledì della consigliera speciale del segretario generale dell’Onu, Stephanie Wlliams, di riunire i responsabili civili e militari di Misurata «favorevoli a una soluzione politica». Mansour accusa la funzionaria statunitense di «essere rimasta in silenzio» quando Khalifa Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, «una volta ricevuto il segnale verde dagli Usa» ha sferrato la suaoffensiva contro Tripoli.

HAFTAR È DIETRO L’ALTRO focolaio potenzialmente esplosivo di questi giorni, che insiste su Sebha, capoluogo della regione meridionale libica del Fezzan. La crisi qui è stata innescata da 11 fuoristrada nuovi fiammanti della polizia inviati dal ministero dell’Interno di Tripoli alla direzione locale della sicurezza a di Sebha ma intercettati dalla brigata Tariq bin Zyad, nella quale milita Saddam Haftar, figlio del generale cirenaico di Bengasi. Negli scontri che sono seguiti almeno una persona sarebbe morta e diverse ferite. La città è ancora sotto il controllo di Tripoli per la presenza della116ma Brigata, ma ieri è stata circondata dalle autoblindo e dai tank di Haftar.

È UN CLIMA nel quale è difficile immaginare elezioni che d’altro canto nessuna persona sana di mente avrebbe giudicato possibili già prima di giungere a questo punto. Al di là delle milizie di Misurata, sono in molti a voler evitare un voto che vede candidato anche Saif al Islam Gheddafi, malgrado il mandato di cattura internazionale emesso dalla Cpi e le difficoltà incontrate dai suoi legali nel ricorso contro l’esclusione del secondogenito del defunto colonnello dalle urne.

Errata Corrige

La brigata Al Samoud circonda i palazzi del potere nella capitale E il generale Haftar cinge d’assedio il capoluogo del Fezzan. La consigliera dell’Onu Stephanie Wlliams prova a mediare tra le fazioni. Ma è considerata troppo filo Bengasi. La tribolata candidatura di Saif al Islam Gheddafi