C’è spreco e spreco. C’è quello inaccettabile della guerra, che disintegra inutilmente risorse preziose (vite innanzitutto, ma anche energia, materiali, lavoro, ambiente). E lo spreco necessario per celebrare degnamente feste, ricorrenze, occasioni felici. Quante portate di cibi che poi magari verranno solo assaggiati, quanti fiori, quanti addobbi sono necessari per onorare una nascita, un matrimonio, una rimpatriata? Tanti. E non ce ne pentiamo. Quello che non dovremmo accettare è invece lo spreco quotidiano di risorse alimentari che avviene lungo la filiera produttiva e distributiva e, per il 50%, nelle nostre cucine.

Dice il prof Andrea Segrè, professore a Bologna di Politica agraria internazionale e ideatore e animatore di Last Minute Market, l’iniziativa di riferimento per la prevenzione e il recupero a fini solidali dello spreco alimentare (www.lastminutemarket.it): ogni italiano butta nella spazzatura circa 30 kg all’anno di cibi ancora buoni come insalate e verdure fresche, frutta, pane e altro. Tanto? Sì, ma c’è chi fa peggio di noi: negli Usa il cibo buttato è tre volte di più.

Cose note, ma vale la pena di rifletterci ancora. E di inserirle in un contesto più ampio. Nel mondo 800 milioni di persone vivono in emergenza alimentare mentre 1,6 miliardi (il doppio) sono ammalati per patologie legate alla sovralimentazione. A questo punto c’è chi parla non solo di eccesso di calorie, ma anche di «spreco alimentare metabolico» per riferirsi alla quantità di cibo mangiata in eccesso. Che genera squilibri nella nostra salute, producendo patologie che causano sofferenze e aumento del rischio di morte (e che necessitano di risorse economiche rilevanti per il monitoraggio e la cura), ma che influisce negativamente anche sull’ambiente (spreco di acqua, aumento dell’occupazione del suolo e di produzione di CO2, ecc.).

A questo proposito, il prof Segrè calcola che lo spreco metabolico di cibo in Italia (più o meno 2 miliardi di kg/anno) sia responsabile di circa l’11-12% della CO2 emessa da tutta la filiera agricola nazionale. Produrre o importare di più per consentire a milioni di italiani di ingrassare o di sviluppare il diabete. Per poi curarli con farmaci, personale specializzato, strutture dedicate. È un circolo vizioso che ha del demenziale. Cucinare di più e ridurre la dipendenza sempre maggiore dai cibi confezionati, precotti e pronti al consumo potrebbe essere una strada per uscirne.