Così come aveva mancato l’obiettivo la nuova legge per l’elezione dei magistrati nel Csm, per cui quattro mesi fa hanno prevalso ancora una volta i candidati scelti dalle correnti, allo stesso modo anche le novità introdotte dalla riforma Cartabia per l’elezione dei consiglieri laici hanno clamorosamente fallito la prima prova. Ieri, dopo un paio di rinvii, camera e senato si sono riunite per la prima volta in questa legislatura in seduta congiunta, l’aula e i corridoio di Montecitorio sono tornati a riempirsi di seicento parlamentari come prima del taglio. I candidati e le candidate per i dieci posti non togati del Consiglio superiore della magistratura erano in effetti i quasi trecento che si sono pubblicamente presentati in questi ultimi tre mesi di surplace, in omaggio alla trasparenza voluta con la riforma. Ma poi a essere eletti sono stati candidati segnalati dai partiti nelle ultime ore, oppure scesi in campo da soli ma all’ultimo momento, quando gli era stata offerta l’elezione.

L’incidente c’è stato comunque, a conferma di una certa incapacità dei nuovi arrivati al potere nel gestire le pratiche delicate. Fratelli d’Italia ha confermato i tre posti a disposizione delle opposizioni – per Pd, 5 Stelle e Azione/Italia viva – ma dei sette posti della maggioranza ne ha voluti per sé quattro. Inserendo nella sua rosa, in posizione preminente per provare a pilotarlo verso la vicepresidenza del Consiglio, l’avvocato Giuseppe Valentino. Ex sottosegretario alla giustizia in anni di berlusconismo trionfante, l’avvocato Valentino durante una lunga carriera cominciata con le difese dei neofascisti e arrivata ai piani alti di via della Scrofa, è incappato in diverse inchieste. Dall’ultima, condotta dalla direzione antimafia di Reggio Calabria, non risulta ancora uscito e così i parlamentari 5 Stelle, ad accordo raggiunto, hanno fatto sapere che non lo avrebbero votato, convincendo evidentemente sia il resto dell’opposizione che lo stesso partito di Meloni che a un certo punto del pomeriggio ha cambiato cavallo. Per quanto furiosi con i 5 Stelle, gli esponenti del partito della presidente del Consiglio evidentemente hanno capito di non potersi permettere la nomina di un politico chiacchierato (già indagato in Calabria vent’anni fa da De Magistris), non dopo la photo opportunity di Meloni a Palermo nel giorno dell’arresto di Messina Denaro.

La fortuna ha arriso allora professore di diritto catanese Felice Giuffrè, ex componente della commissione paritetica sullo statuto della regione Sicilia, stesso organismo dal quale proviene anche un’altra prescelta di Fratelli d’Italia, l’avvocata Rosanna Natoli. Solo che nel frattempo un bel po’ di senatori (non di FdI) avevano già risposto alla chiama nell’aula della camera e tra i dieci nomi che andavano scritti sulle scheda (da qui la lunghezza delle operazioni di voto) avevano già scritto quello di Valentino, poi ritiratosi indignato per le «vergognose palate di fango». Per risolvere l’impiccio è stata necessaria anche una, non ortodossa, interruzione della seduta, lasciando in sospeso fino all’ultimo nella proclamazione notturna il risultato di Giuffrè che infatti con 295 voti non ha raggiunto il quorum dei 3/5 dei parlamentari indispensabile per l’elezione. Servirà, per lui soltanto, una nuova votazione martedì prossimo. Poi il voto è ripreso con la notizia che i 5 Stelle avrebbero sì votato il nuovo candidato di FdI, ma non quello messo in campo dai renzian-calendiani. In effetti l’avvocato Ernesto Carbone, pretoriano di Renzi dopo un esordio prodiano, non rieletto ma sistemato nel cda di Terna, non è noto per le sue competenze giuridiche quanto per aver tenacemente marcato il territorio del renzismo, segnalandosi come supporter fino al limite dell’autolesionismo (celebre il caso del «ciaone» agli elettori del referendum trivelle).

Alla Lega l’accordo di maggioranza ha riservato due posti, dove Salvini ha destinato due avvocati di partito, la sua legale personale Claudia Eccher – moglie di un ex senatore leghista, Sergio Divina, sposato con «cerimonia padana» e abito nuziale verde – e il difensore di molti dirigenti leghisti, ultimo Luca Morisi, l’avvocato padovano Fabio Pinelli. Ma risultava essere della Lega, dopo lunghi trascorsi in Forza Italia, anche l’ex parlamentare Isabella Bertolini, che dopo tre legislature con il partito di Salvini si era inutilmente candidata alle ultime regionali in Emilia Romagna. Invece è finita nel poker delle candidature di Fratelli d’Italia, che oltre a lei, a Giuffrè e a Natoli, conta anche l’avvocata Daniela Bianchini, del centro studi cattolico conservatore Rosario Livatino, territorio del sottosegretario Alfredo Mantovano. Per Forza Italia sono rimaste le briciole, un solo Consigliere, Sergio Aimi, coordinatore del partito in Emilia Romagna e candidato non rieletto al senato, più noto come spalla legale del medico Luigi Di Bella ai tempi del «metodo».

Per il loro posto in Consiglio, i 5 Stelle hanno scelto il professore di diritto penale Michele Papa, ex preside della facoltà di Firenze, amico e collega di Giuseppe Conte. Papa viene dal consiglio superiore della giustizia amministrativa (ne è il vicepresidente) nel quale era entrato nel 2018 proprio per sostituire Conte che lì era stato destinato dai grillini prima dello sliding doors per palazzo Chigi. Il Pd invece ha indicato Roberto Romboli, professore emerito di diritto costituzionale, esponente della scuola pisana dei costituzionalisti, alla fine risultato il più votato e forse l’unico tra gli eletti con un curriculum all’altezza della vice presidenza del Csm. Partita per la quale, però, la maggioranza ha tutti altri programmi. Se riuscirà a trovare un’intesa più larga di quella con i soli sette togati della corrente di destra. Servono infatti almeno sedici voti.