Uno dei giochi più semplici della Settimana Enigmistica è quelli di «unire i puntini». Un’attività semplice e alla portata di tutti. Ma che, se spostata in un altro ambito, talvolta può essere non così facile. Pensiamo ad esempio a quanto successo negli ultimi mesi in Italia: esondazioni dei fiumi Adige e Seveso, tempeste nel Nord Italia con la città di Verona in ginocchio, siccità in Basilicata e Puglia, incendi da Palermo a Roma, rischio di crollo del ghiacciaio sopra Courmayeur. Immaginiamo di unire tutti questi eventi estremi come fossero puntini, probabilmente otterremmo le parole «crisi climatica».

Dicevamo, dunque, che non è sempre facile unire i puntini e infatti, in questi mesi, quando si è parlato degli eventi citati pocanzi, abbiamo sentito troppo spesso parlare di banale maltempo. Giornali e tv hanno derubricato questi fenomeni come «normali», e lo stesso ha fatto la politica alternando cordoglio e attacchi ai governi locali a seconda della convenienza. Nessuno ha unito i puntini. Nessuno ha parlato di emergenza climatica.

Questo però, purtroppo, non è un gioco della settimana enigmistica, e continuando a non dare il giusto nome (e il giusto peso) a certi fenomeni ci stiamo giocando il nostro stesso futuro. Perché tra maltempo e cambiamenti climatici c’è una differenza niente affatto sottile. Di fronte al maltempo, infatti, possiamo fare poco o nulla per difenderci. Ci armiamo di ombrelli e stivali, oppure non usciamo durante le ore molto calde, e poi aspettiamo che «passi la tempesta». La crisi climatica invece ha delle cause molto precise, e anche delle soluzioni chiare e definite.

Se iniziassimo a capire che tutti questi fenomeni che portano con sé vittime e danni ai territori e all’economia hanno delle cause scientificamente provate, certamente inizieremmo a pretendere che vengano messi in campo tutti i provvedimenti possibili per prevenirli, o almeno limitarne gli effetti devastanti. E ce la prenderemmo con i colpevoli. C’è però qualcuno nel mondo che questi puntini non solo li ha uniti, ma è poi andato a bussare alla porta dei responsabili della crisi climatica. Siamo nelle Filippine, uno dei Paesi da sempre più colpiti dai cambiamenti climatici, dove cinque anni fa un gruppo di cittadini e associazioni – a seguito del devastante passaggio del tifone Hayan – si è rivolto alla Commissione per i Diritti Umani del Paese, evidenziando le responsabilità che i 46 più grandi emettitori al mondo hanno per l’insorgenza della crisi climatica in corso. Chi più inquina, ha maggiori responsabilità. Questo è il concetto, semplice e disarmante, che sta portando avanti un popolo che ogni anno rischia di vedere le proprie case andare in pezzi a causa di eventi climatici estremi.

La Commissione per i Diritti Umani ha accettato lo scorso anno la risoluzione del popolo filippino, e dovrebbe presto pubblicare le proprie motivazioni. Si tratta di un evento di portata mondiale: per la prima volta un corpo giuridico riconosce da una parte che i cambiamenti climatici hanno un impatto sui diritti umani, e dall’altra mette nero su bianco le responsabilità delle aziende con il più alto livello di emissioni di gas serra.
Potrebbe sembrare una storia che non riguarda l’Italia, e invece (purtroppo) non è così. Tra i maggiori inquinatori chiamati in causa c’è infatti Eni, la più grande azienda di Stato italiana. Il gigante del settore oil&gas è tra i maggiori emettitori di gas serra a livello mondiale. E sebbene in Italia tanti continuino a farsi abbagliare dalla patina verde di cui si tinge l’azienda, la realtà è ben diversa. Eni è un’azienda controllata dallo Stato, e quindi ognuno di noi è in qualche modo un po’ responsabile di queste attività inquinanti, e della conseguente violazione dei diritti umani che da esse deriva.

Il popolo filippino ha fatto qualcosa di rivoluzionario, non solo smettendo di parlare di maltempo, ma anche andando a colpire i veri responsabili dell’emergenza climatica. Lo stesso siamo chiamati a fare tutti: media, politica ma anche noi cittadini. I responsabili delle alluvioni, delle siccità, dello scioglimento dei ghiacci hanno nomi e cognomi. Fino a oggi queste aziende hanno fatto profitti scaricando i costi sulla collettività. Ma non si può più andare avanti così. La Commissione per i Diritti Umani delle Filippine ha confermato che le grandi aziende hanno delle responsabilità e devono farsene carico.

Viviamo nel pieno dell’era dell’emergenza climatica, e non abbiamo più tanto tempo per agire. Iniziamo subito, perciò, a unire i puntini e a scoprire cosa vien fuori.

* Greenpeace Italia