Nella provincia di Hubei i casi registrati ieri sono stati “solo” 1600, un dato che non si registrava da gennaio. Incoraggia che il calo prosegua anche nel resto della Cina: 377 i casi di ieri, neanche la metà degli 890 casi raggiunti il 3 febbraio.

I DATI AGGIORNATI li ha comunicato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla fine del forum globale sulla ricerca sul coronavirus che si è concluso ieri a Ginevra. 300 scienziati hanno individuato le priorità su cui concentrare interventi e finanziamenti contro il virus.
«Garantire la condivisione dei dati e aiutare soprattutto i paesi in via di sviluppo è fondamentale, il lavoro deve essere continuamente ispirato da considerazioni etiche», ha detto Yazdan Yazdanpanah, direttore del GloPID-R, un consorzio che finanzia ricerche sulla preparazione alle epidemie in collaborazione con l’Oms.
Non si può ancora parlare di «picco» raggiunto, perché il numero totale di persone malate continua a crescere: ora sono oltre 45mila, con più di 1100 morti.

MA QUALCHE EPIDEMIOLOGO azzarda previsioni. I ricercatori della London School for Hygiene and Tropical Medicine hanno pubblicato online un’analisi secondo cui il picco potrebbe essere vicino.

«La tendenza attuale suggerisce che possa arrivare nella seconda metà di febbraio anche se ovviamente c’è molta incertezza su quando arriverà e sulla sua intensità» ha detto Adam Kucharski, uno degli autori. Gran parte dell’incertezza deriva dalle scarse informazioni sul numero effettivo di persone contagiate dal virus soprattutto nella provincia-epicentro di Hubei.

Un’altra ricerca diffusa dall’Imperial College di Londra sostiene che i casi asintomatici o in incubazione siano venti volte superiori a quelli effettivamente censiti.
Le persone contagiate ma in buone condizioni di salute difficilmente si rivolgono ai medici e dunque non vengono registrate soprattutto nelle città più colpite.

IL CALO NEI DATI non deve illudere. Eventuali focolai secondari potrebbero essere ancora nascosti dai numeri di Wuhan. Singapore, ad esempio, ha registrato una cinquantina di casi: non tantissimi, ma 8 di loro non appartengono a catene di contagio conosciute dai medici. Dunque, è probabile che nella città-stato sia in corso un focolaio che rischia di amplificarsi nei prossimi giorni.

Il maggiore contagio fuori dalla Cina rimane comunque quello della nave Diamond Princess nel porto giapponese di Yokohama, con 3700 persone a bordo tra equipaggio e passeggeri. Ieri altre 39 persone sono risultate positive e ora il numero delle persone infette e sbarcate dalla nave è salito a 174, più di ogni altro paese fuori dalla Cina.

RISULTANO IN BUONE condizioni gli italiani sulla nave, 25 membri dell’equipaggio e 10 passeggeri. In un video, alcuni membri indiani dell’equipaggio hanno chiesto soccorso al loro governo: «sappiamo che ci sono protocolli da seguire. Abbiamo paura di perdere il lavoro se li violiamo. Ma a cosa serve seguire i protocolli se non sappiamo se sopravviveremo?» ha detto uno dei marinai nel video. Nel frattempo, le condizioni dei tre casi italiani di Covid-19 ricoverati all’istituto Spallanzani di Roma rimangono invariatre.

La coppia cinese è in terapia intensiva mentre il ventinovenne rimpatriato da Wuhan continua a non avere neanche la febbre. Oggi il ministro Speranza sarà a Bruxelles, dove su sua richiesta è convocato un vertice straordinario dei ministri della salute dell’Unione europea, per stabilire un maggior coordinamento tra i paesi dell’Unione nella gestione dell’epidemia.

All’ordine del giorno, l’estensione a tutta l’Unione del blocco nei confronti dei viaggiatori provenienti dalla Cina.