Berlusconi rischia una Caporetto quasi paragonabile a quella del suo ex socio del Nazareno. Soltanto a Milano Stefano Parisi, il candidato unitario di un centrodestra diviso quasi in ogni altra città, è in partita e dopo l’altalena delle proiezioni i due candidati quasi gemelli sono in parità prima del secondo turno.

Il vero disastro infatti si consuma a Roma, dove Alfio Marchini è stato umiliato da Giorgia Meloni e nella notte si materializza lo spettro più temuto ad Arcore. Proprio la coattissima ex ministra potrebbe strappare il ballottaggio a Bob Giachetti. Per Berlusconi, che puntava soprattutto a bloccare la reproba sulle porte dello spareggio per dimostrare che senza di lui non c’è possibilità di vittoria sarebbe il disastro completo.

A Milano Mr. Expo starebbe intorno al 42,8%, lo sfidante al 37,7%. Non è affatto escluso che lo scarto si riveli alla fine più stretto, anche se il pareggio pare un miraggio. Sono comunque percentuali che giustificano il tweet ottimista cinguettato a caldo da Parisi: “Grazie a tutti i milanesi che oggi hanno scelto il cambiamento. La nostra corsa contiua: la nostra meta è domenica 19 giugno. Ci sarete?”. Poi, in tv, Parisi rincara: “Sembrava impossibile che il candidato del centrosinistra non vincesse al primo turno. E’ un risultato straordinario. La maggioranza dei milanesi vuole il cambiamento”.

La conferma della difficoltà del Pd e del suo candidato a Milano arriva con il silenzio di Beppe Sala e con l’imbarazzo delle dichiarazioni dei suoi, che in definitiva non vanno oltre il ripetere che comunque l’uomo dell’Expo è primo. Il che, per un candidato che appena due mesi fa era dato per stravincente, è in realtà pochino.

A Milano il centrodestra giocherà comunque per vincere. Stavolta però Berlusconi e Salvini dovranno sostenere il loro campione insieme, e non sarà facile dopo essersi scannati a Roma.

Nella capitale, anche qualora Berlusconi raggiungesse l’obiettivo di sottrarre alla Meloni il ballottaggio, la distanza tra il rampollo del cemento e la ragazza di borgata sarebbe tale da avvelenare la soddisfazione dell’ex Cavaliere.

Marchini è stato surclassato dalla ex ministra con uno stacco di oltre 10 punti. Anche col cambio di cavallo in extremis l’ex cavaliere non è andato molto oltre i risultati miserrimi che i sondaggi prevedevano per Bertolaso. E i duri della Lega e di FdI sono a un millimetro dal provare che non hanno più bisogno di lui.

Il risultato di questa prima tornata dice che il centrodestra o riesce a presentarsi unito o è condannato, ma allo stesso tempo moltiplica le difficoltà nel raggiungere quell’unità. Berlusconi, infatti, dovrebbe accontentarsi del ruolo di comprimario. Chiunque lo abbia seguito nel suo ormai superato ventennio di gloria, sa che se una cosa l’uomo di Arcore è costitutivamente incapace di accettare è proprio la parte ingrata del comprimario.

Il voto di ieri consegna anche un altro elemento destinato a complicare la vita della destra italiana.

E’ ai pentastellati, in corsa a Roma e Torino e quasi anche a Bologna, che i risultati assegnano inequivocabilmente il ruolo di rivali numero uno di Matteo Renzi. Tanto più che la legge elettorale di Renzi, l’Italicum, premia le forze in grado di presentarsi da sole, e penalizza sino a sbalzarle fuori dal ring quelle che invece puntavano tutto sulla coalizione, e dunque in primo luogo proprio Forza Italia.

Dopo il big bang che ha visto l’ex Pdl esplodere in mille pezzi, il voto di ieri sigla il tramonto della strategia politica sulla quale Berlusconi aveva costruito la sua fortuna sin dal 1994: la capacità di coalizzare un ventaglio amplissimo di forze politiche facendo del suo partito-azienda l’asse della coalizione.

Se esiste una residua possibilità di mettere in campo una strategia nuova e adeguata ai tempi lo si inizierà a capire nelle prossime due settimane. A Milano.