Voci dall’Altra Russia. Quelle e Quelli che resistono alla Guerra. È il libro di Raffaella Chiodo Karpinsky – autoprodotto, disponibile su Ibs e Amazon. Una raccolta di articoli scritti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. La madre russa le ha insegnato la cultura di quel popolo e la lingua, che parla correntemente. Le sue fonti sono dirette, relazioni umane, amiche e amici, giornalisti, artisti che vivono lì. E i materiali che filtrano su Internet nonostante la censura. Lei è attraversata ogni giorno da questa guerra, come lo è stata per quelle di Cecenia e Crimea. A renderla sensibile ai temi della guerra e della pace è anche la sua lunga esperienza di collaborazione con ong e come osservatrice Onu in molte guerre e processi di mediazione e di pace: Angola, Mozambico, Sudafrica, Ucraina.

COME SE ARRIVASSE da dentro la Russia il libro è uno spaccato autentico di ciò che sta accadendo in una parte della popolazione. Quella che non si arrende a Putin e alla guerra. Sono le storie di resistenza, ribellione, estraneità alla guerra o diserzione e riguardano donne adulte, ragazze e uomini di ogni età. Come dice Muratov, premio Nobel, avvocato dei dissidenti in questi due anni e fondatore di Novaja Gazeta – il giornale di Anna Politkovskaja – queste persone sono oggi le «spine dorsali civili» della Russia. E ancora, «in Russia si viene condannati a anni di galera per avere pronunciato la prima parola del romanzo di Tolstoj, dove la seconda è Pace». In Occidente, e anche in Italia, tv, giornali e radio non danno spazio ai prigionieri politici russi. Solo la morte di Navalny, di cui Putin porta la responsabilità, ha scosso un poco le coscienze e l’opinione pubblica, come fu per l’assassinio della Politkovskaja, uccisa per essersi opposta alla guerra in Cecenia. Ma dopo poco torna il silenzio, come vuole Putin. E così noi facciamo il suo gioco, permettendo che si senta solo la sua voce e nessun’altra. Eppure i numeri parlano chiaro, scrive Chiodo: sono 1 milione i giovani fuggiti dalla Russia perché non volevano uccidere, vietate le manifestazioni, 30 media non statali sono stati chiusi, i siti internet oscurati. I prigionieri politici negli ultimi due anni sono 700 in più (moltissime donne) e 15mila pacifisti aspettano di essere giudicati.

NELL’ASSEMBLEA FEMMINISTA di Roma a febbraio abbiamo dato voce ai molti modi di sottrarsi alla guerra, e alla condanna di ogni guerra, sia di invasione come in Ucraina, o sia una risposta spropositata e feroce come quella di Israele a Gaza, pur se è stato vittima di un atto terroristico atroce da parte di Hamas. Ma è difficile che coloro che scrivono dei funerali di Navalny scrivano anche dei funerali dei palestinesi uccisi nella fila per il pane, che erano lo stesso giorno. E viceversa. E chi parla di entrambi sembra un’aliena e prende insulti da ogni parte. Come se fossimo ancora dentro la Guerra Fredda. Anche il mio mondo, la Sinistra italiana politica e sindacale, non parla quasi mai dei dissidenti russi. E il Pse ci ha messo due anni a prendere posizione. Com’è inspiegabile per me che tutto il femminismo non condanni gli stupri di donne israeliane da parte di Hamas. Il libro va letto, voglio solo citarvi le ultime parole di Alexandra Skochilenko, poeta trentenne, condannata a 7 anni di carcere: «Non per odio, non per inimicizia, ma per compassione. Volevo solo fermare la guerra e non c’è niente di sbagliato in questo. Volevo che tutto questo finisse». E torna anche in lei il tema sempre attuale del «sangue salvato che fa storia come il sangue versato».