A sentire le parole mielate del premier e del ministro degli Esteri da un lato e dall’altro quelle avvolte nella carta vetrata dei due vicepremier, si direbbe che nel governo, sul fronte nevralgico dei rapporti con la Francia, convivono opzioni opposte. Probabilmente si tratta invece solo di privilegiare interessi diversi e solo parzialmente contraddittori.

CONTE E MOAVERO guardano agli scenari di possibile crisi e cercano, con il Quirinale alle spalle, di ricucire la lacerazione con un partner importante. Il premier sforna una nota ufficiale: «Interrogarsi sull’efficacia delle politiche globali è legittimo e non mette in discussione la storica amicizia con la Francia e tantomeno con il popolo francese». Moavero, che il giorno prima aveva incontrato il ministro francese Le Drian, sfodera doti da prestigiatore: «Siamo Paesi amici e alleati. Siamo abituati a un dibattito anche franco e duro all’interno degli Stati nazionali, meno abituati a vederlo su scala europea. Si realizza così, forse, quello spazio pubblico europeo di cui si parla da tanto». Insomma, a guardare bene la reciproca pioggia di schiaffoni è un bene. E’ così che si fa l’Europa.

Né Conte né Moavero né il capo dello Stato temono che le bordate dei soci di maggioranza incrinino seriamente il rapporto tra i due Paesi. Vedono però il rischio che la guerriglia, alla quale Macron non si è mai sottratto, possa avere ricadute negative su qualche fronte delicato. L’Olanda, per esempio, si è scagliata ieri contro la Commissione Ue per aver chiuso un accordo con l’Italia invece di procedere con una procedura-ghigliottina. L’appoggio francese è stato in quell’occasione prezioso. In Libia la situazione è più fragile che mai e un irrigidimento della Francia potrebbe comportare la chiusura di ogni canale di comunicazione con Haftar. Di qui l’esigenza se non di smentire i vicepremier almeno di riequilibrare il messaggio.

PER DI MAIO E SALVINI, invece, in questo momento l’unico orizzonte è la campagna elettorale e la Francia di Macron è il nemico ideale: il presidente, vacillante anche in patria, sembra incarnare tutto quel che di perfido tanto la Lega quanto M5S addebitano all’Europa.

Salvini entra in ritardo nella rissa ma non si risparmia: «In Africa c’è gente che sottrae ricchezza a quei popoli e la Francia è tra questi. In Libia Macron non ha interesse a stabilizzare la situazione. Non accettiamo lezioni da chi a Ventimiglia negli anni ha respinto decine di migliaia di persone. Spero che il popolo francese si liberi presto di un pessimo presidente e l’occasione saranno le europee». Poi, non pago: «Macron ci restituisca i terroristi latitanti». Insomma, fuochi artificiali in grande stile. Di Maio ci mette un pizzico di malizia: «Si vuole far passare il dibattito sul franco Cfa come attacco al popolo francese. Sciocchezze. Il popolo francese è nostro amico. Anche i gilet gialli sono contro il franco Cfa». Si può immaginare quanto piacere faccia all’inquilino dell’Eliseo l’attestato di vicinanza ai suoi nemici in giallo.

Lo scarto tra le due strategie opposte del governo è tale che ieri, con una scelta clamorosa, la maggioranza ha bocciato al Senato la richiesta di convocare Moavero per un’informativa. La distanza tra i toni paludati della componente «istituzionale» e quelli non del tutto infondati, anzi, ma certo scomposti e usati a pur scopo di propaganda di 5S e Lega sarebbe emersa con troppa evidenza.

IN REALTÀ, NONOSTANTE la preoccupazione, nessuno in questo momento, neppure ai vertici delle istituzioni, teme una rottura che non è nell’ordine delle cose. Anche sui fronti specifici, come la Libia o i rapporti tra Italia e Ue, il quadro complessivo è troppo delicato per temere una ritorsione francese. Ma anche la sola escalation verbale da entrambe le parti non si può sottovalutare. Ieri ad Aquisgrana è stato formalizzato un direttorio franco-tedesco che per i sovranisti di ogni Paese sarà manna dal cielo e che li aiuterà a moltiplicare i consensi. Le tensioni proseguiranno e col tempo le parole potrebbero diventare quel che oggi ancora non sono: pietre.