Esce il tetto, ma solo per rientrare tra pochi giorni insieme al Ponte per eccellenza, quello sullo stretto di Messina. Il tetto per il contante portato da 2mila a 5mila euro nel dl Aiuti 4 era stato annunciato ufficialmente dalla premier ed era effettivamente presente all’art.6. Ma il Quirinale ha trovato da obiettare sui necessari requisiti di necessità e urgenza e il governo ha accettato di spostare il provvedimento dal dl alla manovra. In realtà se si verificasse quanti decreti sono stati presentati senza necessità né urgenza non basterebbe un’enciclopedia ma dopo il passo falso sui rave il governo Meloni è sotto speciale sorveglianza e il Colle stavolta non ha lasciato correre.

Salvini si affretta a garantire che «dal primo gennaio il tetto a 5mila euro ci sarà comunque» e per ovviare al colpo rilancia sul Ponte senza risparmiare iperboli: «Sarà un esempio del genio italiano, l’opera più ecologica e tecnologicamente avanzata del mondo. Vogliamo partire nell’arco di due anni». Insomma per passare dalle parole ai fatti c’è tempo e tenendo conto che solo a parlarne il geniale Ponte è già costato uno sproposito c’è da augurarsi che stavolta almeno la promessa sia gratuita.

La legge di bilancio, più modesta ma anche più urgente, invece deve correre davvero. Oggi pomeriggio Meloni incontrerà i capigruppo di maggioranza e già lunedì la legge dovrebbe vedere la luce. Si aggirerà sui 30-32 miliardi, di conseguenza bisogna trovare altri fondi. Il governo vorrebbe battere due strade: la volontary disclosure, cioè una sanatoria sul rientro dei capitali all’estero che però non dovrebbe allargarsi sino a eventuali reati penali mentre comprenderà per la prima volta le criptovalute, e un aumento della tassa sugli extraprofitti derivati dai rincari dell’energia: dall’attuale 25% al 33%.
La precedente volontary disclosure aveva fatto emergere 60 miliardi di capitali e ne aveva portati nelle casse dello Stato 15. Stavolta il governo punta a 5 miliardi nella ipotesi migliore e comunque non meno di 3. L’aumento della tassa sugli extraprofitti, se le anticipazioni saranno confermate, è un passo necessario e il 33% è anzi ancora troppo poco. Il problema è che sinora quella tassa è stata largamente disattesa dalle aziende. L’introito è stato risibile a paragone di quanto dovuto e preventivato. La misura avrà dunque un senso solo se il governo varerà anche misure tali da assicurare che la tassa venga poi effettivamente pagata.

La misura più contrastata, la revisione del Superbonus, resta invece nel dl Aiuti e per ora il passaggio dal 110% al 90% resta fissato per tutti i lavori approvati dopo il prossimo 25 novembre. Forza Italia però non si è ancora arresa: «Ci vogliono almeno un paio di mesi in più». Come sciogliere il nodo principale, la cessione dei crediti, non è ancora del tutto definito. Il problema è trovare un punto di equilibrio tra la necessità di sbloccare i crediti, del tutto paralizzati dopo che anche Poste come già le banche ha smesso di accettarli, e quella segnalata da Giorgetti di evitare che i crediti diventino una sorta di «nuova moneta» con l’obbligo di accettarli. Nel decreto si porterà dagli attuali 4 a 10 anni l’arco temporale entro il quale smaltire i crediti d’imposta. Non basterà. Sul tavolo c’è la proposta di Abi e Ance: «Una misura che consenta agli intermediari di utilizzare una parte dei debiti fiscali raccolti con l’F24 compensandoli con i crediti da bonus edilizi». Giorgetti non sembra convinto: da Bali ha chiesto al sistema bancario di avanzare una «opportuna proposta».