Condannato in via definitiva a 3 anni e otto mesi di reclusione per aver attestato il falso e coperto omertosamente le violenze e le torture inferte dalle forze dell’ordine ai manifestanti che dormivano all’interno della scuola Diaz, durante il G8 di Genova del 2001. Di più: secondo la Cassazione che nel febbraio 2014 respinse la sua richiesta di affidamento ai servizi sociali (sentenza 6138), confermando la decisione della magistratura di sorveglianza, si tratta di un personaggio che si «è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici».

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Gilberto Caldarozzi

Eppure, Gilberto Caldarozzi, ex capo della sezione Criminalità organizzata della polizia (Sco), è diventato il numero due della Dia, la Direzione investigativa antimafia. Non appena decaduta l’interdizione dai pubblici uffici per il dott. Caldarozzi (che naturalmente ha tutto il diritto di essere reinserito nel tessuto sociale, come ogni altro ex detenuto), il ministro dell’Interno Marco Minniti ha deciso di non evitare una scelta politica che non tiene in alcun conto i pronunciamenti del potere giudiziario italiano né le condanne della Corte europea dei diritti umani (l’ultima appena sei mesi fa). E francamente non ha nulla di garantista. Tanto che il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma, se ne sta occupando da tempo, in un colloquio istituzionale con i massimi vertici dello Stato.

La nomina risale al settembre scorso ma la notizia è stata scoperta recentemente dal «Comitato giustizia e verità per Genova» ed è stata resa pubblica solo negli ultimi giorni. A sollevare polemicamente la questione per primo è stato il pm del processo Diaz, il sostituto procuratore Enrico Zucca. E dal pool di avvocati genovesi che avevano difeso le vittime – come da più parti, nella “società civile” – si è levata la protesta: «Lo dovrebbero rimuovere, è bizzarro che il ministro lo ritenga all’altezza di un ruolo così importante – è stato il commento dell’avvocata Laura Tartarini che aveva difeso le vittime di Bolzaneto – Ma del resto tutti i condannati per quelle vicende si sono sempre comportati come se avessero fatto il loro dovere, come se fossero loro le ingiuste vittime. La cosa che fa ancora più specie è che nessuno dei politici pronto a battersi per la legalità abbia detto nulla su questa nomina».

Una vicenda che colpisce al cuore soprattutto coloro che in quei giorni del 2001 manifestavano democraticamente nelle strade di Genova. Come Nicola Fratoianni: «Quello che si temeva nell’estate scorsa si sta piano piano concretizzando – ha detto il segretario nazionale di Si – gli alti dirigenti delle forze dell’ordine condannati per i depistaggi, le menzogne, le infamie compiute in quei drammatici giorni tornano ad assumere incarichi di direzione negli apparati dello Stato.

Evidentemente a questo governo non bastano le prove, le sentenze della giustizia italiana, le inchieste giornalistiche, le condanne e i durissimi giudizi delle corti europee». Anche Francesco Laforgia, capogruppo di Mdp alla Camera ed esponente di Leu, era tra coloro che a Genova protestavano contro «un mondo che cambiava con troppe disuguaglianze e contraddizioni»: «Il ministro Minniti ha il dovere di spiegare le ragioni di questa nomina, di cui siamo venuti a conoscenza soltanto ora – ha commentato – Non si può impedire il ritorno alla carriera di chi ha esaurito l’interdizione dai pubblici uffici, ma chi porta una responsabilità come quella della scuola Diaz credo meriti di farlo in tono decisamente minore».

Un punto di vista non condiviso dal Dipartimento della Pubblica sicurezza che ieri ha negato «alcun tipo di promozione» a nessuno dei funzionari e dei poliziotti coinvolti nelle violenze di Genova: «Dopo aver scontato interamente le pene inflitte, anche nella forma accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, nonché i provvedimenti disciplinari irrogati, sono stati riammessi in servizio, come previsto dalla legge». Perché, spiega il Dipartimento, «non è possibile allo stato attuale procedere ad alcuna forma di destituzione». Men che meno «è stata conferita alcuna promozione» a Caldarozzi, che tra due anni «cesserà dal servizio per raggiunti limiti di età» e che ha maturato – è l’assicurazione, inconfutabile per certi versi, del Dipartimento – «specifiche esperienze» «nella lotta alla criminalità organizzata, con particolare riferimento a quella di stampo mafioso».

Peccato che neppure sei mesi fa, all’indomani dell’ennesima condanna di Strasburgo per quelle torture mai riconosciute come tali, il capo della polizia Franco Gabrielli dichiarò: «A Genova, un’infinità di persone incolpevoli subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. In questi16 anni la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori».