In piena emergenza sanitaria, ciò che fino a qualche giorno fa era innominabile diventa improvvisamente senso comune. Si scopre così che i soldi, che finora non c’erano, ora possono essere messi a disposizione a dismisura; che possono essere dati direttamente a famiglie e imprese, invece che solo alle banche; che i vincoli di bilancio sono algoritmi senza senso e possono essere by-passati; e si rende infine evidente quanto tagli e privatizzazioni abbiano messo profondamente alle corde quello che era uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, con conseguenze che oggi tutti paghiamo.

Nessuna inversione di rotta è tuttavia all’orizzonte, tanto è vero che, pur di non parlare della crisi sistemica delle politiche liberiste e di austerità, si è già intrapresa la strada della colpevolizzazione dei cittadini, mettendoli gli uni contro gli altri in una sorta di nuova caccia all’untore.

Dentro questa rimozione, nessuna attenzione viene posta ai Comuni, che, grazie all’emergenza prodotta dall’epidemia, rischiano letteralmente il collasso.

Perché le pur timidissime misure, prese dal Governo a favore di famiglie e imprese, avranno il risultato di ridurre drasticamente le entrate degli enti locali, mentre l’emergenza sanitaria chiama ciascuno di essi ad un surplus di spese per tentare di affrontarla adeguatamente.

Diventa evidente come il lavoro pubblico, deriso e bistrattato nell’ordinarietà, quando andavano cantate le magnifiche sorti e progressive della gestione privata, diventi esiziale quando arriva un’emergenza, e si è costretti a prendere atto di poter contare solo sul lavoro di quelle donne e di quegli uomini, pur guardandosi dal riconoscerlo come tale (da lavativi vengono trasformati in eroi, senza alcuna possibilità di poter essere considerati, semplicemente e dignitosamente, lavoratori).

I Comuni, dentro l’emergenza sanitaria in corso, rischiano la definitiva abdicazione ad ogni loro funzione pubblica per traasformarsi in avamposti del controllo autoritario delle proprie comunità.

E se il Covid 19 è la classica goccia che rischia di far traboccare il vasao, non va dimenticato da quanto tempo un virus altrettanto potente aveva iniziato ad annichilirne le difese immunitarie; un virus di cui conosciamo perfettamente nome e cognome del «paziente zero»: patto di stabilità.

I Comuni arrivano all’epidemia sfiancati da due decenni di politiche liberiste che, nel nome del debito, ne hanno drenato i bilanci e le risorse, nonostante il loro contributo al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%.

In questo contesto, non solo la loro funzione pubblica e sociale, ma persino la loro esistenza può essere messa a rischio, mentre i loro compiti, di protezione ora e di rinascita successiva, verso le loro comunità di riferimento sono inevitabilmente destinati ad aumentare.

Tre misure sono necessarie subito e vanno di conseguenza rivendicate dalle comunità locali: a) immediata sospensione del pagamento degli interessi sul debito, in vista di una loro drastica riduzione; b) immediata sospensione del patto di stabilità interno; c) risorse immediate e incomprimibili per far fronte all’emergenza sociale prodotta dall’epidemia sanitaria.

Assieme a queste, assume ancor più importanza l’obiettivo di socializzare Cassa Depositi e Prestiti, allo scopo di mettere a disposizione le risorse in capo alla stessa per un piano di finanziamento a tassi agevolati degli enormi investimenti che i Comuni dovranno fare per costruire nuovi modelli sociali ed ecologici di comunità locale.

Ecco un altro motivo per rimanere a casa, ma non rimanere in silenzio.