Con 200 sì, nessun voto contrario e sessantuno astenuti (Partito Democartico e Alleanza Verdi e Sinistra) è stato approvato alla Camera un testo in modifica del cosiddetto Codice Rosso, l’insieme di norme per contrastare la violenza contro le donne. La norma approvata prevede un’ulteriore ipotesi di avocazione delle indagini preliminari da parte del procuratore generale presso la Corte d’appello, che ricorre quando il pubblico ministero, nei casi di delitti di violenza domestica o di genere, non senta la persona offesa entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

In pratica il procuratore generale autoassume il procedimento revocando quindi l’assegnazione di un fascicolo, se alla scadenza dei tre giorni il pm non sente la donna vittima di violenza. Il provvedimento già passato al Senato è stato annunciato con entusiasmo dalla destra e dalla firmataria Giulia Bongiorno della Lega, ma in realtà non cambia di molto quanto già avviene nelle procure italiane grazie alla riforma della giustizia Orlando del 2017.

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«Il problema a mio avviso, non è tanto ascoltare la vittima entro tre giorni, cosa che avviene quasi sempre, quanto adottare provvedimenti restrittivi il prima possibile in presenza delle condizioni di legge – spiega Anna Maria Picozzi, procuratrice aggiunta a Palermo – Non si ravvisano significative violazioni dell’obbligo di audizione della vittima entro il termine dei tre giorni».
«Ci siamo astenuti perché siamo convinti che il tema centrale non sono i tre giorni, che a volte possono essere anche pericolosi. Perché si potrebbe trovare un pm non specializzato, perché bisogna considerare la condizione della donna, anche emotiva – commenta a il manifesto la senatrice del Pd Valeria Valente – Nell’impeto una donna va a denunciare, ma dopo magari cambia perché ha paura, per lei e i figli, quindi non va costretta. Non bisogna dare obblighi ma assecondare la donna nei momenti di crisi, ce lo insegnano i centri antiviolenza».

La senatrice, che si troverebbe invece d’accordo per un ok alle modifiche annunciate dal governo con il ddl Roccella-Piantedosi-Nordio sul tema, denuncia un provvedimento bandiera che invece «non cambia nulla nella vita delle donne»: «Non riusciamo a fare una norma semplice come quella del consenso nei casi di stupro, neppure calendarizzata, dove ancora si deve dimostrare violenza e coercizione. Questa cambierebbe la vita di tante donne che denuncerebbero di più».
Quello che chiedono da tempo associazioni femministe e centri antiviolenza è la formazione della magistratura e delle forze dell’ordine per riconoscere e credere alle donne e usare gli interventi cautelari. Una discussione proprio nel giorno in cui si aggiunge un ulteriore femminicidio, quello di Marisa Leo, uccisa dall’ex compagno nel trapanese e che nel 2020 aveva denunciato l’uomo per stalking, senza trovare però alcuna protezione.

Intanto il vicepremier Antonio Tajani ha presentato in serata un testo in rinforzo a quello in attesa di votazione chiamato “Mai sole”: «Darò il testo della proposta a Roccella, Nordio e Piantedosi, per vedere se si può integrare con questi aspetti più tecnologici». «L’idea è quella di avere un’app subito disponibile, su base volontaria, che possa geolocalizzare chi ne fa richiesta. La geolocalizzazione sarà sempre attiva, anche a telefono spento», ha spiegato la prima firmataria Catia Polidori di Forza Italia.