Giustizia ambientale e cambiamenti climatici – Verso Parigi 2015. Questo il titolo del meeting internazionale che termina oggi a Roma all’Istituto Patristico Augustinianum con l’udienza di papa Bergoglio sulla crisi climatica.

Un confronto promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Ha collaborato all’iniziativa anche Poste italiane, per sottolineare la centralità della Green Strategy nel piano dell’azienda e anche le sue politiche “di inclusione sociale”, con nuove assunzioni di immigrati agli sportelli.

Al convegno hanno partecipato alcuni dei più importanti esperti mondiali del settore – da Achim Steiner (Direttore esecutivo Unep) a Nicholas Stern (presidente Grantham Research Institute), da Jeffrey Sachs (direttore Earth Institute – Columbia University) a José Maria Vera Villacian (direttore della Ong spagnola Oxfam Intemon, parte di Oxfam International) al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. Le organizzazioni e gli istituti a cui appartengono cercheranno di influire sulla Cop21 di Parigi (dal 30 novembre all’11 dicembre) fidando anche sull’indirizzo del meeting.

Sullo sfondo, l’Enciclica del papa sull’ambiente – Laudato si’ -, che riprende l’incipit del Cantico delle Creature. Un testo che mette l’accento sui nodi dello sviluppo capitalistico e ne denuncia le asimmetrie. Una visione che, in alcuni punti, finisce per interrogare anche la divisione in classi di cui la chiesa è stata sempre garante. Per questo, l’Enciclica ha avuto un posto centrale anche nel secondo incontro voluto da Bergoglio con le organizzazioni popolari, che si è svolto in Bolivia durante il suo recente viaggio in America latina.

In quella sede, i movimenti e i presidenti che scommettono sul “socialismo del XXI secolo” hanno sottolineato le consonanze tra i contenuti dell’enciclica e il messaggio che portano nei summit: “cambiare il sistema per cambiare il clima”. Laudato si’ parla di “decrescita”, di “debito ecologico” tra Nord e Sud e del debito economico che strozza i paesi poveri. Denuncia i governi che sostengono le banche e non le popolazioni, e accusa le multinazionali, che vanno al sud a fare quel che non gli viene permesso nel primo mondo: e che “quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere”.

I rappresentanti del Vaticano – padre Augusto Chendi e il potente cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga – hanno ripreso alcuni temi dell’enciclica. Chendi ha ricordato che i cambiamenti climatici incidono maggiormente sui paesi poveri. Senza un’inversione di rotta, nei prossimi anni altri 50 milioni di persone si aggiungeranno ai 200.000 sfollati a causa dei disastri ambientali o dei cambiamenti climatici a cui non possono sopravvivere.

I paesi poveri hanno minori risorse finanziarie, tecniche e gestionali per ridurre la propria vulnerabilità di fronte alla crisi climatica. Gli effetti del riscaldamento globale pesano soprattutto su quei 2,6 miliardi che hanno un reddito inferiore a 2 dollari al giorno. Cifre che fanno apparire quantomeno dissonante la presenza di Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, aperto sostenitore dei golpisti che, in Honduras, hanno “deposto” l’allora presidente Manuel Zelaya perché aveva osato volgere lo sguardo alle nuove alleanze solidali dei paesi dell’Alba. Un religioso che – nelle parole dei preti di base, che lo accusano di complicità anche con i regimi militari precedenti – “si è comportato più da colonnello che da pastore”.

Tuttavia, il meeting confida nel messaggio di Bergoglio, che il prossimo 23 settembre andrà a incontrare Obama alla Casa Bianca. In quell’occasione, si parlerà anche di questioni ambientali e accoglienza ai rifugiati. Gli impegni assunti dai governi fino ad ora in vista della Cop21, non bastano: seguendo i trend attuali, si va verso un aumento delle temperature compreso tra i 3,7 e i 4,8 gradi centigradi che avrebbe effetti catastrofici soprattutto sui paesi più poveri.

Se anche tenessero fede agli impegni presi da qui al 2030, molti paesi avranno ancora emissioni di Co2 pro-capite troppo elevate: a scapito di altre regioni che, come l’America latina o l’Africa, non hanno responsabilità storica nelle emissioni e il loro tasso pro-capite è basso, ma subiranno di più gli effetti della crisi climatica. Gli Stati uniti emettono un miliardo di tonnellate in più di Co2 da quelli previsti, e la Cina 3,7 miliardi.

“La crisi climatica può ancora essere vinta – ha detto Edo Ronchi, presidente della Fondazione organizzatrice – a patto che si superi ‘la sindrome del passo del gambero’: una gara a chi sta più indietro, pensando di poter sfruttare i benefici della riduzione delle emissioni di gas serra, realizzate però da altri. Come dice papa Francesco, abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia”.

Oggi – ha affermato Vera, di Oxfam Intermon – “il cambiamento climatico è una questione di scelta politica. Si tratta di scegliere tra gli interessi dei molti e gli interessi di pochi: quelli di una élite privilegiata che mira a conseguire benefici a breve termine e alimenta il circolo vizioso di povertà e disuguaglianza”.