«Non esiste un buco del culo del mondo dove non ci possono entrare i grattacieli». Lo dice in Resistere non serve a nulla – il bel romanzo di Walter Siti sul mondo della finanza senza patria – uno di quei personaggi che, con un clic e in pochi secondi, spostano masse di denaro in territori che spolpano. Anche piantando edifici.
Limitandoci ad esaminare quello che avviene in Italia, il Rapporto immobiliare del 2013 relativo al mercato degli immobili nel 2011, presentando il computo delle compravendite del settore, mostra che le transazioni eseguite sono ormai ridotte ai valori del 1985. Una caduta stimata con un meno 25,7% rispetto all’anno precedente. Questo vuol dire che almeno 150 mila appartamenti, rispetto a quanto avvenuto l’anno prima, non hanno trovato un nuovo proprietario. Così a un mercato dal valore complessivo di 75,4 miliardi di euro ne sono venuti a mancare 27.
Meno peggio è andata a Roma città (-23%), dove la crisi del mercato è iniziata nel 2006, con un anno d’anticipo rispetto quanto avvenuto nelle altre grandi città italiane. Una consolazione effimera, andando a vedere cosa è successo nelle principali aree metropolitane del paese. In questa classifica l’area metropolitana romana conquista e tiene saldamente (-31,7%) la corona della hit.

Tra grandi firme e…

In Italia ci sono 147 mila architetti e 75 mila ingegneri edili. Numeri che nascondono una realtà del mercato del lavoro molto complessa. Sono architetti liberi professionisti Renzo Piano, con i quasi 11,3 milioni messi a bilancio del proprio studio l’anno scorso, Antonio Citterio, architetto e designer milanese, con 11 milioni, Marco Tamino, a capo della società romana Ingenium Real Estate, con 8,2 milioni e Massimiliano Fuksas, altra grande firma italiana nota a livello internazionale, che rispetto al bilancio 2009 perde quasi metà dei ricavi, fermandosi a 7,8 milioni.

…e quelli a partita Iva 

Vengono considerati liberi professionisti anche i giovani architetti, quelli che lavorano negli studi professionali attraverso l’inganno della partita iva. Una marea di liberi professionisti “impropri” che lavorano come dipendenti a tutti gli effetti, in un unico studio, otto ore al giorno, per cinque giorni alla settimana, seduti al computer a eseguire gli ordini per 400, 600 o al massimo 850 euro. Ovviamente facendo fattura, per quel lavoro che può finire da un giorno all’altro. In questo modo i giovani “professionisti” sono sottopagati, si trovano a dover versare contributi che non gli competerebbero, non hanno assistenza, ferie pagate, tredicesima ecc… mentre il datore di lavoro, anch’esso architetto, non paga ciò che dovrebbe. Gli ordini professionali, a cui è obbligatorio iscriversi, non hanno mai tutelato i loro giovani iscritti.
Nel pacchetto della Manovra bis per la liberalizzazione delle professioni è stata inclusa, ora, anche l’assicurazione professionale obbligatoria. Giusto per chi in effetti firma progetti, ma per chi lavora in uno studio dove i progetti vengono firmati da altri, è l’ennesimo peso economico e l’ennesimo inganno.

L’architetto balla da solo

Gli studi che si organizzano mediante partnership sono dimezzati: dal 18% del 2008 al 9% della rilevazione attuale. La maggior parte di coloro che svolgono la professione continua a lavorare, da solo, in uno studio privato. La tipologia di svolgimento più rappresentativa è quella composta dall’unico titolare (32% del totale), in crescita rispetto al 2008. La quota di architetti che lavorano invece in agenzia o come freelance è aumentata: dal 15% nel 2008 al 18% nel 2012. Il settore pubblico registra infine un calo: dal 12% nel 2008 al 10% nel 2012.
I guadagni medi hanno continuato a livellarsi verso il basso. La media annua europea nel 2008 era pari a 34 mila euro, oggi è di poco inferiore a 29 mila. Secondo l’Osservatorio annuale sul Mercato della Progettazione Architettonica (realizzato dal Cresme per il Consiglio nazionale dell’ordine degli Architetti) il mercato dei servizi di progettazione svolti dagli studi professionali di architettura è calato in Italia, dal 2006 al 2011 del 28%. Un calo che, considerando anche la crescita del numero di architetti iscritti all’albo, arriva quasi ad un decremento del 40% in termini di quota di mercato pro-capite.

E gli ingegneri?

Una situazione di tale difficoltà non poteva non avere un impatto anche sul mercato degli ingegneri. Secondo l’indagine Excelsior del Ministero del Lavoro la domanda complessiva di ingegneri nel 2012 è risultata in calo del 27,3% rispetto all’anno precedente. Siamo ai livelli più bassi registrati negli ultimi sette anni. I grandi gruppi europei, in particolare le grandi società di ingegneria, hanno strutture multidisciplinari e sono diventate dei colossi organizzativi che sembrano appartenere a una dimensione per il nostro paese irraggiungibile.
Il nostro sistema professionale appare fragile e poco strutturato se confrontato con quanto succede sul piano internazionale, dove invece primeggiano colossi del design capaci di esprimere fatturati da centinaia di milioni con centinaia di addetti. Fin qui chi disegna, ma che succede a chi costruisce?

Le imprese edili

All’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) aderiscono 20 mila imprese, ma il numero totale di quelle operanti nel settore è molto maggiore. Questo numero non è composto da strutture analoghe per dimensione e fatturato: infatti sono imprese edili le grandi società quotate in borsa come la piccola impresa che opera sul mercato delle costruzioni. Si differenziano per categorie di lavoro per cui possono essere chiamate.
La più grande è Impregilo SpA (i suoi soci sono Benetton, Gavio e Ligresti) con 2 miliardi di euro di fatturato, di cui il 78% prodotto all’estero, con 17.400 dipendenti . Il settore in cui opera è quello degli impianti, grandi infrastrutture, lavori idraulici; l’edilizia vera e propria rappresenta solo lo 0,1%. Segue la Astaldi SpA, il cui capitale sociale è tutto nelle mani della famiglia, con 2 miliardi di fatturato e 8.400 dipendenti (erano 11.200 nel 2009). Opera nel settore dei lavori ferroviari e infrastrutture, mentre l’edilizia è marginale. Seguono la Salini Costuttori, la Pizzarotti, e altre.
Ma sono tante le piccole imprese, familiari, artigiane, spesso tramandate di padre in figlio, sopravvissute alle peggiori crisi e messe in ginocchio da quella attuale. Molte sono quelle composte da stranieri con esperienza e piccoli capitali. Il settore in cui operano è esclusivamente quello dell’edilizia e sono quelle che più hanno risentito del calo dell’attività, dei ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e dell’impossibilità di ottenere prestiti dalle banche.
Dal 2008 al 2012 il settore delle costruzioni ha perso il 25% degli investimenti. Gli effetti sull’occupazione e sulle imprese sono stati pesantissimi: dall’inizio della crisi si stima che si siano persi 325 mila posti di lavoro nelle costruzioni, che salgono a 500 mila unità, considerando anche i settori collegati. Solo nel 2012 sono stati 81 mila gli addetti che hanno perso il lavoro. Il numero totale delle imprese edili è pari a 894.028 unità di cui 571.336 sono imprese artigiane, di quest’ultime nel 2012 ben 54.832 hanno chiuso la loro attività.
L’offerta produttiva si è fortemente ridotta, con la fuoriuscita dal settore di 27 mila imprese di costruzioni. In particolare, a fronte di un incremento di circa 12 mila imprese di costruzione con un solo addetto, si è verificata una forte riduzione delle imprese con più di un addetto, diminuite in due anni di quasi 40.000 unità. L’aumento delle imprese con un solo addetto può quindi essere collegato al parziale riassorbimento di personale dipendente espulso dalle imprese a causa della crisi e rimasto nel settore con caratteristiche di offerta produttiva scarsamente strutturata. Un ulteriore indicatore delle difficoltà del settore è il numero crescente di imprese di costruzioni entrate in procedura fallimentare. Nel triennio 2009-2011 sono 7.552 le imprese che hanno avviato tale procedura e rappresentano il 23% dei fallimenti avvenuti nell’insieme di tutti i settori economici.
Le imprese iscritte alla Cassa Edile di Roma erano 11.448 nel 2008 con 63.321 lavoratori, oggi sono ridotte a 9.000 e gli operai sono diminuiti di un terzo. Ventimila posti di lavoro persi in quattro anni, soprattutto fra quelli che lavoravano nell’edilizia abitativa, ma a risentire della crisi è stato anche chi si occupava di manutenzione e di impianti energetici.

Come si lavora in edilizia? 

Il lavoro sommerso in edilizia rappresenta un elemento strutturale. Nel settore delle costruzioni i dati Istat lo indicano all’ 11% nel 2006, nonostante le politiche per la sicurezza sul lavoro e per il controllo della regolarità del lavoro nelle imprese. Nell’edilizia il lavoro nero assume forte visibilità perché questo carattere si associa alla pericolosità e all’elevata incidentalità sul lavoro. Secondo i dati di fonte Inail la maggior parte degli incidenti gravi e delle morti in questo settore si verifica nel primo giorno di lavoro, indice di una pratica diffusa di occupazione irregolare e di registrazione ex post in caso di infortunio. Sono molti i lavoratori a chiamata, nell’edilizia, nella carpenteria, la manutenzione e la ristrutturazione.
In Italia un lavoratore edile su cinque è straniero, ma nel 2011 e nel 2012 si è registrato un arresto della crescita dei lavoratori stranieri (dati Fillea Cgil). Significativo anche il ricorso alla cassa integrazione: nel corso del primo semestre del 2012 sul totale dei cassaintegrati delle costruzioni il 33% è di nazionalità straniera. Le buste paga degli stranieri, inoltre, sono sempre più leggere rispetto a quelle degli italiani: nell’edilizia, nel corso degli ultimi quattro anni, la forbice del differenziale retributivo si è ulteriormente allargata passando dal 4,1% del 2009 al 10,5% del 2012. Così gli stranieri guadagnano in media 133 euro mensili in meno dei loro colleghi italiani, con punte di 195 euro in meno per i manovali e di 171 euro in meno per gli imbianchini.

Chi altro sta pagando la crisi
L’industria delle costruzioni coinvolge anche altri settori economici che stanno disgregandosi, e che hanno prodotto dal 2009 la perdita di 380 mila posti di lavoro. Sono i produttori e rivenditori di materiali da costruzione, di cemento, di legname, di elementi di arredo. Indicativo è il calo del consumo di calcestruzzo armato che è diminuito dal 2006 al 2010 del 45%.
Le agenzie immobiliari, ultimo anello della catena (30 mila in tutta Italia) hanno risentito del calo delle transazioni immobiliari, diminuite nell’ultimo anno del 25% (330 mila compravendite in meno rispetto al 2011), e della contrazione dell’erogazione di mutui da parte delle banche che ha toccato il 40%, con costi fra i più cari di Europa. Analizzando invece la contrazione avvenuta per acquisti ”cash”, questa registra una diminuzione del 15,2%.

Quante case si costruiscono? 

I dati Istat sull’attività edilizia segnalano una progressiva diminuzione dei permessi rilasciati dai comuni per la costruzione di nuove abitazioni e ampliamenti a partire dal 2006. In quattro anni (2006-2009), infatti, il numero dei permessi è passato dai 305.706 del 2005 ai 160.454 del 2009, registrando una flessione del 47,5%. Ma si sta facendo largo un altro dato. È in atto a Milano dove, in attesa dell’operatività del regolamento edilizio del Piano Generale del Territorio rivisitato da Pisapia, alcuni operatori hanno rinunciato a cantieri che erano stati autorizzati per cui avevano già pagato gli oneri di urbanizzazione che l’Amministrazione si è vista così costretta a restituire.

* La versione integrale di questo articolo verrà pubblica oggi sul sito www.dinapress.it