La vicenda Volkswagen si arricchisce di un nuovo, importante, episodio: ieri sono stati perquisiti gli uffici centrali della casa automobilistica a Wolfsburg, e anche diverse altre sedi, per ordine della procura di Braunschweig. Lo ha reso noto l’ufficio stampa della procura stessa, che per competenza territoriale conduce la principale inchiesta della giustizia tedesca sullo scandalo delle emissioni «truccate».

«Obiettivo delle perquisizioni – si legge nel comunicato diffuso dall’organo inquirente – era il sequestro di documenti che possono fornire informazioni circa l’esatto modo di procedere degli impiegati dell’azienda coinvolti nella manipolazione dei valori delle emissioni e circa la loro identità». Chi è stato a volere la clamorosa frode e come ha proceduto: l’azienda non ha ancora saputo (o voluto) dare risposte definitive al riguardo, che probabilmente arriveranno solo dal percorso della giustizia ordinaria.

Le prossime settimane diranno se l’ex amministratore delegato Martin Winterkorn è il responsabile dell’ideazione del software che permetteva di alterare i dati delle emissioni dei motori diesel, oppure se il potentissimo manager costretto a dimettersi ne uscirà «pulito». Winterkorn si è sempre dichiarato all’oscuro di tutto.

Oltre all’inchiesta dei magistrati tedeschi, si contano procedimenti aperti anche negli Stati Uniti (ieri il capo di Volkswagen Usa ha testimoniato di fronte alla commissione d’indagine istituita dal Congresso), in Messico, e in alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia, dove a procedere è la procura di Torino su iniziativa del pm Raffaele Guariniello.

Senza dimenticare, sempre sul fronte dei tribunali, le innumerevoli azioni (soprattutto negli Usa) per ottenere risarcimenti dei danni da parte degli acquirenti delle macchine «truccate», o di chi aveva investito in azioni della casa automobilistica tedesca.

Non c’è solo il fronte giudiziario a preoccupare i nuovi vertici della Volkswagen, nel frattempo impegnati a definire la mega-operazione di richiamo dei veicoli truccati, che dovrebbe cominciare a gennaio.

Anche sul piano economico, i mesi a venire si annunciano molto difficili, al punto che i comuni in cui si trovano i principali stabilimenti hanno già preventivato minori introiti fiscali e, quindi, minori spese. Il danno che lo scandalo sta causando all’azienda avrà, purtroppo, ricadute sui lavoratori che allarmano il sindacato metalmeccanico Ig Metall.

Non ci dovrebbero essere immediate conseguenze in termini occupazionali, ma le buste paga saranno molto probabilmente più leggere: operai e impiegati dovranno quasi certamente rinunciare ai premi di produttività che hanno ricevuto negli ultimi anni. Se non interamente, almeno in parte: nel 2014, ad esempio, gli operai si videro riconosciuti 5.900 euro annuali di bonus, una cifra che difficilmente sarà replicata il prossimo dicembre.

Il nuovo numero uno, Matthias Müller, è stato chiaro: il nuovo corso, ha dichiarato in un video-messaggio ai lavoratori in assemblea lo scorso martedì, «non sarà indolore».

A confermare il quadro fosco è giunto ieri uno studio condotto dall’autorevole Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw, nella sigla in tedesco), con sede a Berlino, che ipotizza «conseguenze negative per tutto il made in Germany».