«Ora è facile parlare di manutenzione degli argini o di casse di espansione. A Cesena le casse di espansione per abbassare la piena del Savio sono in costruzione, com’è giusto che sia. Ma anche ragionando con il senno del poi, con l’acqua caduta in questi giorni avrebbero potuto fare ben poco».

Paride Antolini, il presidente dell’ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, risponde sconsolato a chi gli chiede se qualche opera pubblica in più avrebbe scongiurato l’inondazione nella sua Cesena, la città dove vive e lavora. Antolini però non assolve nessuno. «Va avanti così dal dopoguerra. Oltre alla politica, anche noi cittadini dobbiamo fare autocritica».

Per quali responsabilità?
Chi non ha fatto pressione per avere un permesso per costruire, per ampliare, per cambiare destinazione a un terreno? Basta confrontare le foto aeree scattate nella seconda guerra mondiale e le foto satellitari di oggi per accorgersene. I privati hanno fatto tante richieste e l’amministrazione le ha assecondate. Hanno iniziato i romani, hanno proseguito gli estensi e poi il papato: tutti hanno rubato terra all’acqua per farne terreni coltivabili o per nuove costruzioni. Finché il rischio non era manifesto come oggi, era una prassi sostenibile. Dal dopoguerra in poi, non lo è più».

Cosa si può fare adesso per rendere più sicuro un territorio come l’Emilia-Romagna, generalmente ritenuto ben amministrato?
I meteorologi ci dicono che questi eventi si ripeteranno più spesso, e non ogni uno o due secoli. Le alluvioni, come i terremoti, portano spesso con sé nuove norme e leggi. Adesso è necessaria una legge nazionale sul consumo del suolo. Ma una legge che sia davvero a “saldo zero”, cioè non comporti nuovo consumo di suolo. A parole è già stato fatto, ma poi ogni legge aveva le solite scappatoie.

Non solo le aree antropizzate sono state sconvolte dall’acqua, ma anche le montagne. La Protezione Civile ha contato ben 230 frane.
Credo che gli eventi franosi in realtà siano stati molti di più di quelli ufficialmente registrati. Piogge così hanno un impatto devastante su un territorio montano come quello italiano. Le nostre montagne sono fatte soprattutto di argilla e arenaria, rocce che assorbono l’acqua. È vero, il territorio della Regione è mappato, abbiamo norme e strumenti che molte regioni ci invidiano. Ma la mappatura del rischio si basa su modelli idro-geologici che oggi potrebbero essere superati. Se le previsioni dei climatologi sono corrette e eventi come questo sono destinati a ripetersi più spesso, tutta la cartografia del rischio andrà ricalcolata.