Tutto rinviato a dopo le elezioni. Il primo dei decreti attuativi della riforma dell’ordinamento penitenziario voluta dal ministro Andrea Orlando, quello sulle misure alternative – il più importante dei decreti legislativi e più incisivo nel contrastare il sovraffollamento carcerario e la recidiva dei reati – è finito nel calderone delle promesse mancate del governo bipartisan.

Mancavano solo le controdeduzioni alle obiezioni sollevate dalle commissioni Giustizia di Camera e Senato, l’ultimo passo prima dell’approvazione finale prevista per il 2 marzo, giusto sul filo di lana dopo tante promesse, e invece ieri il Consiglio dei ministri non se l’è sentita e ha rimandato la gatta da pelare alla prossima riunione prevista per il 7 marzo.

In compenso – si fa per dire – ha messo in moto l’iter di altri tre decreti attuativi della riforma (ordinamento minorile, giustizia riparativa e lavoro) che fino ad ora non avevano visto la luce, malgrado un processo di studio durato due anni da parte di oltre 200 esperti nominati dal Guardasigilli al fine di cambiare volto ad un sistema concepito oltre 40 anni fa e che è costato all’Italia la condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Non a caso il ministro Orlando ieri non si è fatto vedere in conferenza stampa, malgrado fosse presente a Palazzo Chigi mentre il premier Paolo Gentiloni dava brevemente conto (e senza spazio per le domande) del «lavoro in progress».

Il presidente del Consiglio, evidentemente ottimista sull’esito del voto, ha spiegato che l’iter dei decreti proseguirà «nelle prossime settimane e mesi» anche «tenendo conto delle indicazioni del Parlamento».

Ed è questo il nodo: ufficialmente il primo dlgs è stato messo in stand by perché occorrerebbe più tempo per ricalibrare le correzioni apportate all’articolo 4 bis (selezione dei reati esclusi dai benefici) che proprio non sono piaciute alla commissione Giustizia del Senato, presieduta dal centrista D’Ascola. Anche se in via Arenula assicurano che la riforma non sarà svuotata come vorrebbe Ncd.

Eppure l’ululato delle destre, Lega capofila, ma anche del M5S e di alcuni sindacati di polizia penitenziaria, come il Sappe che ieri esultava per lo stop a quello che in certi ambienti viene definito come «l’ennesimo svuota carceri», evidentemente fa molta paura.

Tanto da indurre il governo a chiarire che l’obiettivo non è tanto quello di riportare la pena nel solco del dettato costituzionale e delle norme internazionali (privazione della libertà, non della dignità, come spiega bene Emma Bonino), ma quello di «ridurre notevolmente il tasso delle recidive».

Lo ha precisato ieri Gentiloni: «Se vogliamo rintracciare un filone che unisce i diversi provvedimenti il filone è esattamente questo: abbiamo un rischio che questo sistema se non ha delle correzioni utili, in parte adottate oggi, in parte lo si farà nelle prossime settimane e mesi, non sia sufficientemente efficace nel ridurre la recidiva. Perché i comportamenti criminali continuano a generare comportamenti criminali, invece di favorire il reinserimento nella nostra società».

«Non è un rischio, è una certezza», ribatte la radicale Rita Bernardini, in sciopero della fame dal 22 gennaio, insieme a migliaia di detenuti e centinaia di garanti regionali, magistrati, avvocati e cittadini, per ottenere il varo definitivo della riforma prima delle elezioni ed evitare così di buttare a mare soldi, energie, tempo e giustizia.

«Arrogantemente – insiste la leader del Prntt – ritiene di conoscere già i risultati elettorali, probabilmente pensa che gli esiti di una legge elettorale incostituzionale saranno quelli da lui e da Napolitano previsti».

«Parecchio deluso» si è detto anche il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma: «Ci si aspettava la capacità di approvare il provvedimento, che è stato più volte esaminato dal governo e in sede parlamentare. Ci aspettavamo una capacità di risposta che è mancata. Mi auguro che nel prossimo Consiglio dei ministri non vengano sollevate questioni di opportunità politica e che prevalga invece la volontà di non lasciare al palo la riforma».