Dopo il controverso schieramento di forze federali repressive a Portland, nell’Oregon, Donald Trump ha inviato una squadra di agenti anche a Seattle, provocando un’altra ondata di proteste in tutto il Paese e lasciando i politici locali a gestire il contraccolpo.

LA SINDACA di Seattle, Jenny Durkan, ha dichiarato che la città è nel mezzo di una profezia auto-avverante, con manifestanti infuriati per la presenza della polizia federale a Portland che danno vita a quegli episodi di «anarchia e violenza», che Trump adduce come scusa per l’invio dei federali, ma che sono cominciati solo a seguito del loro arrivo.

«Non c’è dubbio che le azioni a Portland abbiano intensificato le cose, non solo a Seattle, ma a livello nazionale», ha affermato Durkan, riferendosi allo spiegamento di agenti federali i cui sforzi militarizzati per «domare le proteste», come aveva chiesto Trump, hanno scatenato manifestazioni di massa e scontri notturni e ispirato nuove proteste di solidarietà in altre città, a causa della preoccupazione per un governo federale che esercita un’autorità così ampia in città che hanno chiarito di non gradire la presenza di agenti.

A SEATTLE LA NOTTE tra domenica e lunedì ci sono stati 47 arresti e 59 agenti sono rimasti feriti. Scontri anche a Los Angeles, New York, Richmond, Oakland e Omaha dove sono state arrestate 75 persone. Ad Oakland, in California, la sindaca Libby Schaaf ha espresso tutta la sua frustrazione per gli episodi di violenza che a suo dire fanno il gioco del presidente.

«Sono furiosa che Oakland possa aver giocato proprio nella contorta strategia della campagna di Donald Trump – ha dichiarato – Le immagini di un centro città vandalizzato sono esattamente ciò che vuole per far montare la sua base e giustificare l’invio di truppe federali che causeranno solo più disordini».

A CHICAGO la sindaca Lori Lightfoot ha affermato di accogliere con favore l’intervento del presidente se questo si esprime in politiche di controllo delle armi e investimenti nei programmi della comunità: «Qualsiasi altra forma di assistenza militarizzata all’interno dei nostri confini e non sotto il nostro controllo o sotto il comando diretto del Dipartimento di Polizia di Chicago, invece, porterebbe a un disastro», ha detto Lightfoot in una lettera aperta al presidente.

La governatrice del New Mexico, Michelle Lujan Grisham, ha definito la decisione dell’amministrazione di inviare nello Stato le squadre federali «un po’ sospetta, a essere generosi».

Gli effetti della presenza anche solo teorica delle squadre federali sono palesi: vengono inviate in città di tradizione democratica e generano i disordini che teoricamente dovrebbero controllare, il caos che prima del loro arrivo non c’era.

Dove la situazione è diventata più grave è stata Austin, la città più a sinistra nel Texas: un manifestante armato di fucile è stato ucciso in un corteo, sabato, da un automobilista “contromanifestante”, anche lui armato, che poco prima aveva minacciato i manifestanti andando contro di loro con l’auto. Poi ha aperto il fuoco.

La vittima, Garrett Foster, un 30enne bianco sposato con una donna afroamericana, aveva con sé un fucile AK-47, cosa non inusuale per il Texas dove si può andare in giro armati.

POCHE ORE PRIMA della sparatoria Foster si era imbattuto in un giornalista indipendente che aveva trasmesso l’intervista in diretta su Periscope. Aveva parlato proprio dell’arma che portava con sé: «Non ci lasciano più manifestare, quindi voglio esercitare alcuni dei nostri diritti – aveva dichiarato Foster – Certo, se la lo uso contro la polizia, sono morto».