Si è alzata in poche ore la tensione tra Stati uniti e Corea del Nord: dopo un articolo del Washington Post che spiegava come la Corea del Nord sia già riuscita a costruire testate nucleari abbastanza piccole da essere messe su missili capaci di raggiungere gli Usa, in anticipo su quando previsto dagli analisti Donald Trump, dal suo resort a Bedminster nel New Jersey, dove è in vacanza, ha reagito con toni estremamente violenti, parlando di una risposta con «il fuoco e la furia» ad altre minacce dirette.

In replica la Corea del Nord ha detto di stare valutando un bombardamento sulla base militare statunitense di Guam, un’isola nel Pacifico occidentale dove si trovano due basi Usa. La dichiarazione di Pyongyang ha portato Trump a parlare apertamente della possibilità di iniziare una guerra.

La veloce escalation non ha però spaventato il governatore di Guam, Eddie Calvo, che in risposta ha dichiarato: «L’isola è pronta da ogni eventualità. Guam è territorio americano. Non siamo solo un impianto militare», aggiungendo di aver contattato la Casa Bianca e di aver ricevuto conferma dal dipartimento per la Difesa e la sicurezza nazionale sul fatto che il livello di allerta rimane invariato nonostante le minacce della Corea del Nord.

Poco dopo si sono espressi con toni diversi sia il segretario di Stato Tillerson che il ministro della difesa Mattis: il primo ha cercato di abbassare i toni e tranquillizzare connazionali e comunità internazionale affermando di non credere «ci sia alcuna minaccia imminente dalla Corea del Nord».

Ha aggiunto che il recente scambio di minacce non significa che gli Stati uniti si stiano avvicinando all’opzione militare, ma che Trump «sta inviando un messaggio forte a Pyongyang nella lingua che il leader capisce».

Non è dello stesso avviso Jim Mattis, il ministro della difesa che invece echeggia i toni di Trump e afferma che la Corea del Nord dovrebbe smettere di compiere delle mosse «che porterebbero alla fine del regime e alla distruzione del suo popolo».

Non sono stati solo Rex Tillerson e Jim Mattis ad esprimersi: per diverse ragioni anche Steve Bannon non è d’accordo con questa escalation e giudica quello con il Nord Corea solo un tralasciabile sottoinsieme del conflitto amministrativo con la Cina.

Il senatore repubblicano McCain ha invitato Trump ad abbassare i toni: dopo aver toccato questo livello di violenza verbale, non lascia agli Usa altro spazio se non mantenere ciò che ha minacciato.

Trump in questa occasione, non si sa se volontariamente, ha citato la dichiarazione di Truman che nel 1945 annunciava il lancio delle bombe nucleari contro il Giappone.

«Possono aspettarsi una rovinosa pioggia dal cielo, a un livello che questo mondo non ha mai visto prima». Alcuni fonti interne della Casa Bianca hanno affermato che le ragioni di questo tono infiammatorio sono da ricercare nel fatto che Trump ha improvvisato la dichiarazione sulla Corea del Nord mentre guardava quello che si è poi rivelato essere un foglio di informazioni sulla crisi del consumo di oppiacei di cui avrebbe dovuto parlare.

Insomma, preso alla sprovvista, Trump avrebbe minacciato un conflitto nucleare con Pyongyang senza essersi consultato con nessuno, spinto dalla foga del momento.

La minacca scaturita illustra molto bene l’approccio disinvolto di Trump a tutta la gestione della Casa Bianca, incluse le decisioni diplomatiche, economiche e militari.