Susanna Camusso, ora è ufficiale: lei sarà capolista del Pd al Senato nel collegio plurinominale 2 in Campania, ci può raccontare come nasce questa candidatura?
È nata da una richiesta di Enrico Letta come riconoscimento di una mia rappresentanza e attenzione al mondo del lavoro in una stagione che non si prospetta facile. È la ragione per cui il segretario del Pd ha pensato che la mia esperienza possa contribuire a dare voce alle ragioni dei lavoratori, spesso dimenticate o poco ascoltate.

Lei sarà candidata nelle province di Caserta, Salerno, Benevento ed Avellino. Molto lontano dalla sua Milano.
Sin dall’inizio Enrico Letta, per la mia storia, mi ha considerato una figura nazionale spendibile su tutto il territorio e io non ho mai posto problemi da questo punto di vista. Sono contenta di presentarmi in un collegio meridionale perché credo che queste elezioni si giochino soprattutto sui temi legati al Sud, basti pensare alle rinnovate proposte della destra sull’autonomia differenziata che aumenteranno le disuguaglianze con il Nord.

Il Pd ha scelto due ex sindacaliste entrambe donne: lei e l’ex segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan che però aveva già fatto parte delle Agorà, organizzate da Letta.
Annamaria aveva già fatto una scelta di impegno in politica, mentre io ho privilegiato il sindacato rimanendo in Cgil con l’incarico di responsabile delle politiche di genere ed europee. Con grande rispetto per Annamaria, è però oggettivo che abbiamo una diversa relazione con il Partito democratico perché io continuo a pensare che sia necessaria una grande sinistra unita e plurale.

Possiamo quindi dire che la sua è una candidatura indipendente nelle liste del Pd?
Beh, sicuramente la definizione di “indipendente” è calzante. Si rifà a un tempo passato, molto lontano dalla politica di oggi, ma mi piace.

Con la scelta di entrare in politica lei lascia la Cgil: si sente di dire qualcosa agli iscritti e a chi, inevitabilmente, la criticherà?
La scelta è stata fatta di concerto con Maurizio Landini e condivisa dalla segreteria confederale per una valutazione comune della situazione eccezionale sotto gli occhi di tutti che non si prestava al sottrarsi alla responsabilità di lottare contro le destre riportando al centro il mondo del lavoro e le sue proposte.

Il suo rapporto con il Pd non è stato certo positivo. Da segretaria generale della Cgil dal palco del congresso di Rimini del 2014 definì le politiche dell’allora segretario Matteo Renzi «torsione democratica». La sua candidatura può aiutare a chiudere una stagione di conflitto tra il maggior sindacato italiano e il principale partito del centrosinistra, erede del Pci?
Io credo che quella stagione fosse già chiusa, per fortuna. E non vorrei rivangarla. Mi interessa di più aprirne una nuova in cui, ad esempio, il Jobs act sia realmente cancellato perché nonostante sia stato acclarato perfino dalla Corte costituzionale che precarizza il lavoro e aumenta le diseguaglianze con i giovani, gran parte delle sue norme sono ancora in vigore. Vorrei contribuire a costruire un’altra stagione che regoli il lavoro, gli ridia la dignità, come ho provato a fare da segretaria della Cgil proponendo la Carta dei diritti che cancellava il Jobs act e la differenza storica fra lavoratori dipendenti e autonomi. Se sarò eletta, mi impegno a trasformarla in legge.

Il programma del Pd sul lavoro la soddisfa? Non è troppo moderato su questi temi limitandosi a piccoli ritocchi del Jobs act così come sulle pensioni?
Ci sono spunti e titoli importanti ma è necessario andare più a fondo e dare organicità a un programma che combatta le diseguaglianze mettendo in rete le proposte sul lavoro con quelle su fisco, welfare e diritti sociali. È quello che proverò a fare già in campagna elettorale, avanzando proposte concrete.

La campagna elettorale contro la destra si preannuncia assai difficile e in salita: lei è più per denunciare il pericolo del neofascismo o pensa che serva puntare sui programmi?
Non c’è contraddizione tra le due cose. C’è un serio problema di “matrice” che arriva anche dagli echi terribili di alcune proposte di Fratelli d’Italia e della destra sulla «famiglia tradizionale», sui migranti, sul blocco navale. Ma la denuncia del pericolo neofascista non basta. Serve mettere in campo un’alternativa che convinca chi in questi anni è stato emarginato dalla politica: in primis i lavoratori.