Ora che si sono chiuse le ostilità per le elezioni del sindaco della capitale, l’incombere del momento della verità, il prossimo 23 giugno, quando i cittadini britannici saranno chiamati a votare per il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea o il suo abbandono, fa salire al calor bianco la temperatura del dibattito.

E mentre l’ultimo sondaggio dei sondaggi dà le due fazioni al 50 e 50%, viene schierato chi, fra gli speechwriter di David Cameron, ha studiato storia all’università, obbligandolo a un furioso – e forse superficiale, ripasso.

In un discorso tenuto al British Museum lunedì, al quale era presente il blairiano e già grande trombato – dal fratello Ed – alla corsa alla leadership laburista David Miliband, Cameron ha ammonito che l’abbandono dell’Ue avrebbe nefaste conseguenze per il mantenimento della pace in Europa.

Tanto nefaste non solo da minacciare la pace e la stabilità del Regno Unito, ma dal condurre il continente sull’orlo di una terza guerra mondiale. Ergo il vero patriota, nella perorazione del primo ministro, voterà Remain.

Prendendo forse le mosse dall’attribuzione del premio Nobel per la pace all’Ue, una scempiaggine superabile forse solo dalla proposta di conferirlo a internet come alcuni ultrà digitali andavano seriamente argomentando ancora fino a qualche tempo fa, Cameron ha inanellato una serie di esempi desunti dalla Storia che vanno dalla caduta dell’impero romano d’occidente a quella del muro di Berlino, senza naturalmente omettere il doveroso riferimento a Waterloo e alle perorazioni pro-Europa e post-1945 di Winston Churchill. Tutti volti a dimostrare la necessaria permanenza del paese nell’Ue.

Un Bignami di storia moderna che per una volta accantona l’utile economico e mette drasticamente in discussione la memoria storica e politica dello splendido isolamento – uno dei capisaldi dell’euroscetticismo – e del liberismo così enfaticamente sposato dal rivale e neo ex-sindaco Boris Johnson, il quale punta tutte le sua ambizioni di carriera sulla successione allo stesso Cameron come leader dei conservatori.

«Dalle legioni di Cesare alle guerre di successione spagnole, dalle guerre napoleoniche alla caduta del muro di Berlino. Orgogliosi come siamo della nostra influenza e delle nostre connessioni globali, la Gran Bretagna è stata anche sempre una potenza europea, e sempre lo saremo», ha detto il premier britannico.

Che ha anche aggiunto: «Ogni volta che voltiamo le spalle all’Europa, presto o tardi ce ne dobbiamo pentire. Siamo sempre dovuti tornarci, e pagando ogni volta un prezzo più alto (…) Siamo poi così sicuri che la pace e stabilità nel nostro continente siano assicurate oltre ogni ombra di dubbio? È un rischio che vale la pena di correre? Non sarei mai così avventato dal presumere una cosa simile».

Per una volta, si uniscono all’appello le due figure di punta del partito al governo nella devoluta Scozia, Nicola Sturgeon e Alex Salmond.

Proprio quest’ultimo, predecessore di Sturgeon alla leadership del partito e alla guida del parlamento scozzese dei nazionalisti dell’Snp (che hanno appena rivinto le elezioni), ha detto, sempre lunedì, che la scelta di uscire dall’Ue innescherebbe immediatamente la richiesta di un altro referendum per uscire dal Regno Unito.Sono dunque emersi urbi et orbi la buona fede e il fervente europeismo del primo ministro, lo stesso che annunciava qualche tempo fa che avrebbe senz’altro appoggiato il Brexit qualora Bruxelles non gli avesse concesso la rinegoziazione della presenza della gran Bretagna nel consesso europeo.

Dal canto suo, il rivale Boris Johnson ha ribattuto punto per punto e senza abbandonarsi alle battute che lo hanno reso «Boris» – viste anche le serissime ambizioni alla guida del partito – le argomentazioni di Cameron, in un nuovo capitolo della guerra civile interna tra i conservatori: poco dopo, in un discorso al quartier generale dei «separatisti» Johnson ha ridicolizzato le affermazioni di Cameron, sottolineando – peraltro non a torto – come simili questioni di guerra guerreggiata spettino di norma alla Nato nell’attacco personale finora più diretto all’ex compagno di Eton e Oxford. Ma Westminster val bene un’amicizia.