Se Salvini avesse vinto anche in Emilia Romagna la cultura xenofoba e razzista ne sarebbe uscita indubbiamente rafforzata. Lo scampato pericolo può rappresentare un’opportunità reale di cambiamento, per rilanciare le ragioni della sinistra e della democrazia.

La forte partecipazione al voto, il movimento delle sardine, la mobilitazione straordinaria delle piazze, la reazione delle grandi città (Bologna in testa) hanno giocato un ruolo determinante, motivando decine di migliaia di persone ad andare a votare per contrastare il rancore, la paura e l’odio. Inseguire la destra sul suo terreno, con ricette simili, senza proposte alternative, la rafforza, allontanando tante donne e uomini di sinistra dalla politica, perché le differenze non si percepiscono più.

È il momento di cambiare decisamente passo, sfruttando questa indubbia battuta d’arresto sia nei consensi che sul piano simbolico. E quale terreno migliore della questione immigrazione su cui l’ex ministro della propaganda ha costruito le sue fortune?

Bisogna ribaltare la logica dei Decreti Sicurezza, passando dalla sottrazione dei diritti all’allargamento degli spazi di cittadinanza. Va reintrodotta una forma di protezione umanitaria che consenta di tenere conto della condizione personale di ciascun richiedente, come previsto dalla nostra Costituzione e come lo stesso Presidente Mattarella aveva raccomandato.

Va ripristinato il sistema pubblico e unitario d’accoglienza in capo ai comuni, lo Sprar, chiudendo definitivamente la stagione dell’emergenza e dei grandi centri, che rischiano di finire in mano a multinazionali e privati che li gestiscono senza alcuna competenza e senza scrupoli, come campi di contenimento.

Va approvata la legge d’iniziativa popolare della campagna Ero Straniero, consentendo finalmente alle persone di rivolgersi allo Stato per attraversare le frontiere e di poter accedere a un titolo di soggiorno in qualsiasi momento, se le condizioni sul territorio italiano lo consentono.

Bisogna modificare finalmente la legge sulla cittadinanza, consentendo a chi nasce o cresce in Italia di diventare italiano prima della maggiore età, per poter vivere la propria infanzia e adolescenza con serenità, senza la spada di Damocle dell’irregolarità. Una riforma che deve sottrarre all’arbitrio della pubblica amministrazione l’accesso alla cittadinanza: la precarietà, nella quale crescono centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze di origine straniera, scava un fossato, che va al più presto colmato, tra un pezzo importante di questo Paese e lo Stato.

Sul piano internazionale, poi, l’Italia svolga un ruolo positivo all’interno dell’Ue per cambiare rotta e imboccare una strada diversa: chiudere la stagione dell’esternalizzazione delle frontiere, slegare i fondi per la cooperazione dal ricatto dei rimpatri e dalla militarizzazione delle frontiere, riformare il regolamento Dublino, introdurre vie d’accesso sicure e legali sia per ricerca di lavoro che per richiesta di protezione, cancellare subito il Memorandum con la Libia, che altrimenti il prossimo 2 febbraio verrà automaticamente rinnovato senza modifiche. In Libia la guerra continua e tutti abbiamo potuto vedere in questi anni gli orrori che lì vengono perpetrati contro i migranti, con il vergognoso sostegno, i mezzi e le risorse dell’Italia e dell’Ue.

Infine una nota di metodo: se si vuole valorizzare davvero la società civile che si mobilita, i partiti, le istituzioni comincino ad ascoltare davvero le organizzazioni sociali, il terzo settore, i movimenti. Si promuova subito un tavolo di confronto che tenga conto delle proposte concrete e praticabili avanzate in questi mesi, tra cui ad esempio quelle della campagna Io Accolgo che riunisce oltre 50 sigle nazionali.

Il tempo è una variabile decisiva: il momento per riconquistare uno spazio è adesso. Tra poche settimane ripartirà il dibattito sulle regionali, sui candidati, sulle liste e ci si troverà di nuovo di fronte al muro di chi non vuol capire che quello dei diritti è un tema sul quale andare all’attacco e non restare fermi a subire l’iniziativa della destra. Noi ci siamo.