Come dimostra la recente epurazione dell’esponente conservatrice Liz Cheney (figlia dell’ex vicepresidente Dick Cheney) dalla direzione del gruppo parlamentare repubblicano, il partito della destra americana rimane saldamente nel pugno nazional populista di Donald Trump che dalla sua simil-reggia di Mar-A-Lago promette il proprio ritorno nel 2024 e regola i conti con i pochi dissidenti all’interno del Gop (vedi le minacce rivolte ai franchi tiratori repubblicani che hanno osato sostenere la commissione di inchiesta bipartisan sull’insurrezione dell’epifania).

Il progetto repubblicano per ora è di ostacolare l’agenda Biden ad oltranza e preparare la riconquista del Congresso nelle mid-term del 2022. Quest’ultimo obbiettivo da raggiungere, non con un allargamento dei consensi bensì con l’indurimento della base e l’inibizione dell’affluenza avversaria – principalmente quello di poveri e minoranze – secondo l’antico copione della “voter suppression,” recuperato dal manuale dell’apartheid sudista. Negli ultimi mesi sono stati presentati oltre 350 disegni di legge in 47 stati per limitare il voto per posta, il numero di seggi, gli orari degli scrutini e in generale tutto ciò che agevola il suffragio universale. Florida e Texas hanno reso illegale perfino fornire acqua a chi è costretto ad aspettare ore in fila davanti ai seggi.

In attesa della verifica di metà mandato, i repubblicani intanto sono riusciti ad indire elezioni speciali in California, lo stato più “blu” dell’unione, dove Joe Biden ha asfaltato Trump con uno scarto di 5 milioni di voti. Il mese scorso un comitato di esponenti repubblicani ha raccolto abbastanza firme (circa un milione e mezzo) per indire un referendum sulla deposizione del governatore in carica, Gavin Newsom, e, l’eventuale selezione di un sostituto. Il meccanismo, detto recall è consentito in 19 stati ed è stato precedentemente utilizzato in California già nel 2003, quando il governatore democratico Gray Davis è stata scalzato ed Arnold Schwarzenegger è stato insediato al suo posto

Allora una crisi energetica e l’aumento delle tasse avevano contribuito alla rimozione di Davis (oltre che una manovra di grandi interessi energetici opposti alle più severe normative finanziarie proposte da Davis). Tutta la faccenda all’epoca sancì definitivamente l’avvento della politica-spettacolo. Alle elezioni si erano presentati 135 candidati, in maggior parte improbabili cercatori di effimera celebrità, attori, pornostar e modelle. Risultò vincente la star si kolossal d’azione che assunse il nomignolo di “governator”.

Questa volta è prevedibile una replica, ma nell’atmosfera surriscaldata dal populismo complottista e post-politico ereditato dal mandato Trump e destinata ad amplificare ulteriormente le anomalie di una politica performativa. Il referendum verrà posto in due parti: la prima domanda riguarda la rimozione di Newsom. Se questa riceverà più del 50% di risposte affermative, il candidato alternativo che ricevesse la pluralità numerica di voti prenderebbe il suo posto.

Sulla carta il recall non sembra avere i numeri per riuscire. Solo il 40% dei Californiani interpellati si dichiara a favore e Newsom è stato eletto con un plebiscito due anni fa. Inoltre l’andamento della pandemia al momento attuale non potrebbe essere più favorevole, con la California che si attesta sui livelli minimi nazionali per contagi e decessi, un tasso di positività dell’1% e 50% della popolazione almeno parzialmente vaccinata. È pur vero che le cose possono cambiare rapidamente di qui all’autunno quando presumibilmente si svolgerebbero le elezioni – soprattutto nell’imprevedibile andamento della pandemia. Ed il governatore ci ha messo del suo, come quando, in pieno lockdown, si è fatto beccare ad una cena non protetta con facoltosi amici in un celebre ristorante di lusso, fornendo ai critici populisti un perfetto tableau di elitismo da denunciare.

Si allunga dunque giornalmente la lista dei pretendenti ad una possibile vittoria a sorpresa. Molti sono esponenti di un partito repubblicano che nel Golden State è relegato ormai da anni ad una minoranza permanente. Il più gettonato è John Cox, uno di vari imprenditori miliardari con ambizioni politiche che ha già iniziato a saturare l’etere con spot elettorali in cui appare in compagnia di un inseparabile enorme orso bruno (animale simbolo dello stato). Cox perora programmi conservatori classici: meno tasse, deregulation per l’industria, pugno di ferro con immigrati. Stessi temi anche per Caitlyn Jenner, matriarca della famiglia Kardashian e star dell’omonimo programma reality. Celebrità trans di fama nazionale, Jenner (già olimpionico decatleta col nome di Bruce Jenner) è anche repubblicana e si affaccia alla politica come sostenitrice ferrea di Trump, figura trasversale dunque fra identity politics e nazional populismo plutocratico.

Come già avvenne 18 anni fa le campagne dei pretendenti più papabili hanno già il sostegno della rete di finanziamento repubblicana che ha ogni interesse nel danneggiare Newsom, astro nascente del partito e possibile futuro pretendente alla Casa bianca. E il recall si inserisce in una generale strategia trumpista di tenere alto il livello di polemica e scontro sul maggior numero possibile di fronti. La campagna anti-Newsom, se pure dovesse risultare futile, sarebbe certamente utile per attizzare il fervore populista che mantiene attivata la base, nonché un modo per attaccare il riformismo keynesiano di Biden che Newsom sta applicando in California.