Brexit, Corbyn non esclude un secondo referendum
Gran Bretagna Il tema sarà al centro del congresso laburista che si apre domenica a Liverpool. Con May ormai sull’orlo del precipizio, il partito si prepara anche a possibili elezioni anticipate
Gran Bretagna Il tema sarà al centro del congresso laburista che si apre domenica a Liverpool. Con May ormai sull’orlo del precipizio, il partito si prepara anche a possibili elezioni anticipate
Temperatura Brexit sempre al calor bianco in Gran Bretagna. Più che mai dopo la distratta sufficienza con cui le proposte di Theresa May per un’uscita cerchiobottista del paese dall’Ue – il cosiddetto «accordo Chequers» (dal nome della residenza estiva dei Primi ministri britannici: manterrebbe il Paese allineato con gli standard europei su merci e generi alimentari) -, sono state accolte dai 27 al summit di Bruxelles della scorsa settimana. Una sufficienza che ha provocato la reazione stizzita della premier, che ha preteso «rispetto» dai partner europei in un successivo discorso tonante nella forma, flebile nella sostanza. Dopotutto l’accordo le era costato/valso la dipartita di ministri come David Davis e Boris Johnson.
NON CHE NEL PARTITO laburista dell’era Corbyn, riunito in congresso a Liverpool da domenica, le cose vadano lisce. Anche lì c’è stata una guerra civile, benché a differenza di May – ostaggio delle frange più illuse, deluse e confuse della destra e dei loro farfuglii neovittoriani – Corbyn, la sua, sembra averla vinta. La deliberata (e mascalzona) confusione fra antisionismo e antisemitismo cui la destra laburista si è stolidamente aggrappata pur di ostacolare la «deriva» socialista di un partito che per la prima volta nella sua storia ha avuto il fegato – e lo stomaco – di dissociarsi dalla politica estera israeliana, sembra finalmente cominciare a sbiadire, benché di danni ne abbia fatti eccome. Il fatto che i deputati ebrei che gridano ai pogrom nel partito siano tutti dei moderati, dovrebbe risparmiare un’oltremodo oziosa analisi del problema.
Ma resta un altro contendere, quello sull’ormai fantomatico (perché somigliante agli avvistamenti «scientifici» degli Ufo) secondo referendum, che i liberal eurobritannici invocano come se potesse invertire la catastrofe ecologica nella quale il capitalismo ci sta menando. Ebbene Corbyn, che da bravo veterosocialista inglese è euroscettico nel Dna, sta dando segni di aver recepito l’importanza tattica – se non di aprire – di socchiudere la porta ad un possibile secondo referendum. Perché socchiudere?
PUR AVENDO FIN DALL’INIZIO dichiarato di voler rispettare l’esito del referendum, presumendo, non del tutto scorrettamente, che i vagheggiamenti di un’Europa senza confini fossero appannaggio di una classe media orfana della terza via blairiana – una «terza via preferenziale» per la quale la disuguaglianza ha sfrecciato gioconda dagli anni 80 in poi – e soprattutto dopo la succitata figura barbina di May a Salisburgo, la prospettiva di un’uscita senza paracadute del Paese dall’Ue è più realistica che mai.
CON IL PROFILARSI minaccioso delle file chilometriche di Tir a Dover e dei razionamenti di generi alimentari tipici di un assedio bellico, per tacere della perdita di posti di lavoro che i sindacati – suoi alleati imprescindibili – ovviamente paventano, Corbyn ha ammesso che ora si rimetterà alla decisione dei membri del partito (il più grande d’Europa con circa 500 mila iscritti da quando lui è al timone) riguardo al cosiddetto «voto popolare» (People’s vote) su Brexit.
Si tratterebbe di un voto sull’accordo che May sarà in grado di siglare con la controparte europea e di cui il Parlamento (composto per la maggioranza di remainers bipartisan) rivendica la ratifica. Una linea che ora si affianca a quella originale della dirigenza del partito: agevolare – e vincere – le prossime probabili elezioni anticipate che potrebbero portare il socialismo del XXI secolo di Corbyn al potere in un’Europa che, dove non si sta consegnando al neofascismo del XXI secolo, è vittima, come la Francia, del deja vu macroniano (Macron e Blair: trova le differenze).
AL CONGRESSO si è dunque scatenata una ridda di mozioni (più di 140) in questo senso, compresa quella di un secondo referendum. Anche se John McDonnell, ministro ombra delle finanze, in un’intervista alla Bbc, preferisce distinguere: un simile voto dovrebbe essere sui termini dell’accordo siglato da May e non sull’opzione di una permanenza nell’Unione europea. Come si evince dal testo della mozione, messa ai voti ieri in serata: «Se non possiamo ottenere elezioni anticipate il Labour deve sostenere tutte le opzioni rimaste sul tavolo, compresa una campagna per un voto pubblico».
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