Erano di sicuro ben più di 10 mila domenica scorsa nel variopinto corteo dal parco Gallo fino a piazza Paolo VI a Brescia. «È stata una giornata straordinaria. In termini di partecipazione popolare, un corteo davvero sorprendente: paragonabile alle grandi manifestazioni sindacali… del secolo scorso. E, forse, perché rappresenta non solo una svolta per Brescia, ma anche una sorta di segnale a tutta l’Italia» commenta Marino Ruzzenenti, classe 1948, protagonista negli anni ’70 del Movimento di cooperazione educativa con il maestro Mario Lodi e poi nella Cgil Scuola e nella Camera del Lavoro, ora curatore del sito www.indutriaeambiente.it per la Fondazione Luigi Micheletti e autore di Rifiuti. Il business dei rifiuti a Brescia (Led-Liberedizioni).

Com’è nata «Basta veleni, per il diritto alla salute e al futuro»?
Dal Tavolo che si è costituito a giugno, dal basso. In cui si discute e si decide sempre tutti insieme: dalle mamme di Travagliato e Castenedolo a Legambiente, da Medicina democratica agli amici di Grillo della Valtrompia, da Custodi del creato fino ai NoTav. Si è lavorato per mesi in profondità fra la gente all’insegna dell’informazione con iniziative tutte autofinanziate. E due sole discriminanti politiche: l’antifascismo e l’antirazzismo.

Brescia così fa da “apripista” a un nuovo movimento? L’ambientalismo del Duemila come antidoto alla crisi non solo economica?
Il segnale del 10 aprile è inequivocabile. Prima, c’erano centinaia di persone alle iniziative. E io che alla mia età ne ho visti tanti di cortei mi sento di dire che finalmente si è costruito un movimento di massa per il cambiamento. È stata una manifestazione di gente comune che insieme ha pensato bene di mettere al centro della propria vita l’idea di rimediare ai guasti prodotti dal ‘900 e di ricostruire un’economia pacificata con l’ambiente. Una grande “rivoluzione” di prospettiva a Brescia, per altro città innovativa nella sua storia di unità sindacale nella Flm o del movimento cattolico aperto. Ma pesava sempre negativamente l’eredità di un industrialismo che scaricava nel territorio l’impatto della metallurgia, della chimica, dei rifiuti speciali. Ora la gente ha scelto: se prima pensava ai soldi, adesso si è presa a cuore l’ambiente e la tutela della salute.

In piazza c’erano anche molti sindaci. Un altro sintomo di questa “rinascita” o la solita convenienza di facciata?
Premesso che il maldestro tentativo della Lega Nord di incursione nel movimento è stato subito rigettato nettamente, nei confronti dei sindaci occorre distinguere come del resto comitati, associazioni e cittadini già sanno ben fare. Giacomo Morandi, il sindaco di San Gervasio, è stato eletto grazie alla lotta contro la discarica di rifiuti speciali: era vice presidente del comitato popolare Respiro Libero votato dalla gente proprio per questo. Al corteo c’era anche il sindaco di Montichiari, che si batte contro le discariche ma è favorevole all’alta velocità ferroviaria come alternativa all’inutile aeroporto. Con Emilio Del Bono, invece, resta aperta la “vertenza” sul più grande inceneritore d’Europa gestito da A2A. I Comuni di Milano e Brescia detengono sempre la maggioranza della società, tuttavia in base ad un patto scellerato la terza linea dell’impianto brucia rifiuti da fuori provincia in cambio di 10,5 euro a tonnellata nelle casse del municipio…

Siete la “mega-pattumiera” del Nord, perfino peggio della terra dei fuochi?
Basta semplicemente fare i conti con i dati ufficiali. I rifiuti speciali dispersi o sversati nel Bresciano a fine 2015 ammontano a oltre 58 milioni di metri cubi, cioè cinque volte tanto quelli stimati nella “terra dei fuochi”. Se replichiamo la “licenza poetica” di Roberto Saviano, qui dobbiamo scalare una montagna alta 85.710 metri rispetto ai presunti 14.600 metri di quella della Campania.

E resta irrisolta la bonifica della ex Caffaro, dove dagli anni ’30 si producevano policlorobifenili del brevetto Monsanto?
In Italia i PCB non erano considerati fino al 1976. Addirittura la legge Merli non li contemplava nelle proprie tabelle nemmeno dopo il 1980, quando si scoprì che dalla Caffaro ne uscivano 10 kg al giorno. Si tratta di un’area inquinata solo dalla diossina peggio che a Seveso, di un sito da bonificare con 1,5 miliardi secondo le stime del ministero dell’ambiente e di un fattore di rischio certificato dal registro dei tumori. Ma l’Asl è testarda: insiste nel suo negazionismo, continuando ad ignorare la contaminazione da diossine oltre a quella del PCB. E se il 19 gennaio scorso il Comune di Brescia si è costituito parte civile dopo anni di pressioni da parte di un gruppo di avvocati e attivisti, le inchieste della magistratura sono finite con la prescrizione. Una follia giuridica, come per l’Eternit di Casale Monferrato. Abbiamo un problema insormontabile, perché gli effetti dei disastri affiorano a decenni di distanza.