L’ultimo target della coalizione a guida saudita in Yemen in ordine di tempo è stato un campo profughi: ieri un raid aereo ha centrato una casa nella zona di Al-Saleh, nella provincia costiera di Hodeidah, dove vivevano sfollati da altre zone del paese. Il bilancio è di almeno 16 morti, di cui sette bambini, tutti membri della stessa famiglia.

Riyadh smentisce, non il raid ma la presenza di sfollati, confermata invece da testimoni oculari e medici. Hodeidah è da tempo nel mirino della coalizione saudita perché roccaforte del movimento ribelle Ansar Allah, riferimento politico degli Houthi, contro i quali Riyadh e Stati sunniti hanno lanciato esattamente tre anni fa una guerra brutale.

Il porto della città, principale via di accesso di beni dall’estero prima del marzo 2015 (in un paese che importa il 90% del cibo che consuma), è sigillato dal blocco aereo e navale imposto dai vertici militari sauditi per impedire i rifornimenti agli Houthi. Arriverebbero armi dall’Iran, dice Riyadh; serve a far arrivare cibo alla popolazione alla fame, rispondono le organizzazioni internazionali.

Conflitto dimenticato, quello yemenita continua senza sosta con il suo carico di morte e distruzione: con 15mila morti (molti di più calcolando le vittime di malnutrizione e colera), lo Yemen è al collasso da anni, tra le denunce inascoltate delle associazioni internazionali, umanitarie e legali.

In cima alla lista delle violazioni sta sicuramente l’Arabia saudita, ma anche i ribelli Houthi sono stati duramente criticati ieri da Human Rights Watch per il lancio di missili oltre confine, verso il territorio saudita. Hrw definisce «crimini di guerra» i lanci indiscriminati di missili contro zone popolate. L’ultimo risale a sabato (un migrante è rimasto ferito) e il penultimo il 25 marzo, terzo anniversario della guerra, nel quale ha perso la vita un altro lavoratore straniero.