Che sia per negarne la possibilità o per evidenziarne il pericolo, in Brasile non si fa che parlare di golpe. E c’è pure chi lo annuncia, indicando persino la data: il 7 settembre, festa dell’indipendenza.

È stato lo stesso Bolsonaro, il 14 agosto, a inviare su Whatsapp, a una lista di ministri, simpatizzanti e amici, un messaggio, di cui non si conosce l’autore, in cui si invitano i sostenitori del presidente ad appoggiare l’esecuzione di un «assai probabile e necessario contro-golpe da realizzare in breve», essendo il vero golpe quello perpetrato già da tempo, ma oggi «in maniera molto più aggressiva, dal potere giudiziario, dalla sinistra e da interessi occulti, anche internazionali».

OGGI, RECITA IL MESSAGGIO, «realizzare un contro-golpe è molto più difficile e delicato» rispetto al 1964, a causa di «una costituzione comunista che ha in gran parte sottratto i poteri al presidente della Repubblica».

Ed è per questo che «il presidente Bolsonaro, all’inizio di agosto, in un video registrato, ha chiesto al popolo brasiliano di scendere nuovamente in strada, il 7 settembre, per lanciare l’ultimo avvertimento». E di farlo con una manifestazione «gigantesca», «la più grande nella storia del paese», in maniera da autorizzare il presidente e le forze armate ad adottare «le decisioni adeguate affinché venga ristabilito lo Stato di diritto, salvaguardato l’equilibrio tra i poteri e assicurato il rispetto della costituzione». Tanto più che Bolsonaro e i militari avrebbero tentato in ogni modo di evitare una «rottura istituzionale», consapevoli del problema che «inizialmente» rappresenterebbe per tutti.

Un problema, intanto, è dato dalla sempre più grave crisi istituzionale in corso, benché una sua evoluzione in senso golpista sia per Bolsonaro tutt’altro che agevole.

IL GIORNO PRIMA dell’allarmante messaggio, non a caso, il presidente del Partito del lavoro brasiliano, il bolsonarista Roberto Jefferson, era stato arrestato dalla polizia federale, su richiesta del giudice del Supremo tribunale federale (Stf) Alexandre de Moraes, per la sua presunta partecipazione alle cosiddette «milizie digitali», impegnate a diffondere sul web «discorsi criminali di odio contro le istituzioni democratiche e le elezioni».

E una settimana più tardi, il 20 agosto, la polizia federale ha fatto irruzione nelle residenze e negli uffici di altri due simpatizzanti di Bolsonaro, il cantante Sergio Reis e il deputato Otoni de Paula, entrambi accusati di incoraggiare atti di violenza «contro la democrazia, lo Stato di diritto e le sue istituzioni».

NON È ANDATA MEGLIO neppure al colonnello Aleksander Lacerda, comandante della polizia militare della regione di Sorocaba, nello stato di São Paulo, destituito dal governatore João Doria per indisciplina, dopo il suo appello a partecipare alla manifestazione pro-golpe del 7 settembre nell’Avenida Paulista, in cui sarà presente lo stesso Bolsonaro.

Lacerda però non è certo una voce isolata. Un altro colonnello, Homero Cerqueira, ex presidente della IMCBio (Istituto Chico Mendes per la Conservazione della Biodiversità), ha divulgato video a favore del golpe, definendo come «spazzatura» la Corte suprema. Senza contare che circolano in gruppi di Whatsapp della polizia militare messaggi che esortano a prendere il potere, lottare contro il comunismo e destituire i giudici della Corte Suprema.

Quanto a Bolsonaro, ha pensato bene di gettare benzina sul fuoco presentando il 20 agosto alla presidenza del Senato una richiesta di impeachment nei confronti di Alexandre de Moraes, accusato di «aver superato le prerogative costituzionali». Un’iniziativa definita una «follia» da parlamentari di vari schieramenti, mentre la magistratura al completo si è schierata a fianco di de Moraes, colpevole di aver incluso il nome di Bolsonaro nell’inchiesta sulle fake news aperta nel 2019, ritenendo infondate le sue denunce sulle presunte frodi elettorali legate al voto elettronico.

ANCHE SU QUESTO FRONTE, tuttavia, le possibilità di successo di Bolsonaro sono minime, avendo il presidente del Senato Rodrigo Pacheco immediatamente escluso la possibilità di dare seguito alla richiesta del presidente.

Sono peraltro gli stessi sondaggi a dargli torto. In base a quello condotto dalla società di consulenza Ipespe, in vista delle elezioni presidenziali del 2022, l’ex presidente Lula registra il 40% delle intenzioni di voto, contro appena il 24% di Bolsonaro. Ma mentre la popolarità di quest’ultimo, anche se lentamente, continua a scendere, il Brasile rischia di affondare: 575mila le vittime del Covid, 800mila le imprese che hanno chiuso durante la pandemia, 15 milioni i disoccupati, 19 milioni i brasiliani che soffrono la fame e un’inflazione fuori controllo che spinge alle stelle il prezzo dei beni di uso quotidiano.

UN QUADRO reso ancora più drammatico da una crisi climatica e ambientale di fronte a cui nessuno prende provvedimenti, con il risultato che, secondo uno studio comparso recentemente sulla rivista Nature, la foresta amazzonica emette ora più anidride carbonica di quanto riesca ad assorbirne e, in base a un altro studio pubblicato lunedì dalla Mapbiomas Initiative, è andato perso in Brasile, dove si registra la peggiore crisi idrica degli ultimi decenni, un sesto delle sue aree coperte di acqua dolce in 30 anni.

Colpa del cambiamento climatico, della deforestazione, delle centrali idroelettriche e dell’agribusiness.