«Molto altro deve essere fatto per proteggere i civili e assicurarsi che vengano raggiunti dall’assistenza umanitaria. Troppi palestinesi sono stai uccisi. E vogliamo fare tutto il possibile per prevenire che vengano arrecati loro danni e per massimizzare gli aiuti destinati a loro». Nell’infinita variazione dei medesimi concetti che il segretario di Stato statunitense Antony Blinken va ribadendo nel corso della sua missione mediorientale, quelle che ha impiegato ieri sono finora le parole più dure contro la rappresaglia israeliana a Gaza.

Far too many, più di troppi: il tentativo di esprimere una forma di condanna all’interno di un discorso che per il resto resta misurato e rispetta il copione esperito in questi giorni: solida alleanza con Israele, soluzione a due stati, riunificazione dei territori palestinesi sotto il controllo dell’Anp, rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi, tutela dei civili a Gaza. E condanna della violenza dei coloni in Cisgiordania. Dalla capitale indiana Nuova Delhi, dove si trovava insieme al segretario della Difesa Lloyd Austin per l’annuale 2+2 Dialogue con le loro controparti indiane (Subrahmanyam Jaishankar e Rajnath Singh), rispondendo ai giornalisti Blinken è tornato a impiegare parole decise anche contro quello che accade quotidianamente in Cisgiordania: bisogna «contrastare l’espansione degli insediamenti su avamposti illegali, la demolizione delle case, l’espulsione dei palestinesi, lo status quo dei siti religiosi, la violenza perpetrata dagli estremisti in West Bank».

Durante l’incontro Blinken ha parlato di «progressi» raggiunti con le pause nei combattimenti di poche ore – quattro – contrattate con il governo israeliano, ma è anche tornato a sostenere la necessità di «ulteriori passi avanti»: «No agli spostamenti forzati dei palestinesi da Gaza, all’uso della Striscia come piattaforma per lanciare attacchi contro Israele; nessun ridimensionamento del territorio di Gaza, e impegno per una governance unificata di Striscia e Cisgiordania».

Da Riyadh, intanto, è intervenuto sulla guerra in corso anche il principe ereditario saudita Mohammad bin-Salman, che ha congelato la normalizzazione dei rapporti del suo Paese con Israele dopo l’inizio dell’operazione militare a Gaza. «Condanniamo ciò che la Striscia di Gaza sta subendo in seguito all’aggressione militare, la presa di mira dei civili, le violazioni della legge internazionale da parte delle autorità d’occupazione israeliane», ha detto durante il summit con i paesi africani ospitato nella capitale saudita.
«Sottolineiamo la necessità – ha aggiunto indossando ancora una volta le vesti del mediatore nonostante la costante violazione dei diritti umani in patria – di porre fine a questa guerra e allo spostamento forzato dei palestinesi».