Un passo avanti e uno indietro. Con due emendamenti alla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento – che oggi dovrebbe arrivare al voto finale della Camera per poi proseguire l’iter al Senato – ieri la plenaria dei deputati ha corretto il testo introducendo due significativi principi: da un lato è stato stabilito il divieto di accanimento terapeutico e di conseguenza si è riconosciuto il diritto del paziente di abbandonare totalmente ogni terapia, ma dall’altro ai sanitari spetterà l’ultima parola sulla somministrazione della sedazione continua profonda per chi la richiede, ed è stata istituzionalizzata l’obiezione di coscienza da parte del medico, sul modello della legge 194.

Una modifica, quest’ultima, sulla quale si è infranta la fragile alleanza tra Pd e M5S: i dem hanno votato «sì» insieme a Ap, Lega, Udc, Ds-Cd e FI, mentre i 5 Stelle si sono opposti insieme a SI e Mdp. Un’asse che ha permesso finora di superare gli scogli sui quali il «Testamento biologico» si era impantanato nelle scorse legislature, primo tra tutti la possibilità di rifiutare idratazione e nutrizione artificiali che per i pro-life di tutti i colori politici era la madre dei divieti, quello attorno al quale nel 2009 era stato imbastito il ddl Calabrò che avrebbe dovuto impedire al padre di Eluana Englaro di liberare sua figlia dallo stato vegetativo in cui versava da 17 anni.

Con l’emendamento approvato, presentato dalla commissione Affari sociali, il comma 7 dell’articolo 1 («Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico assistenziali») è stato completato con la frase: «A fronte di tali richieste il medico non ha obblighi professionali».

Una precisazione che per Raffaele Calabrò, relatore di minoranza della legge, è «un picchetto a sostegno dell’autonomia del medico», mentre per gli oppositori rischia di aprire la via già percorsa con la legge sull’aborto e di «tradire lo spirito della legge, che è incentrato sulla persona che sta male e che decide della propria dignità di vita», come spiega la deputata di Sel Monica Gregori. I deputati a 5 Stelle parlano esplicitamente di «obiezione di coscienza mascherata» che potrebbe creare «un vulnus che mette in crisi l’intero impianto del provvedimento».

Per la relatrice Donata Lenzi (Pd) invece si tratta di una norma dovuta: «Non possiamo puntare il fucile alla tempia del medico e imporgli di staccare il paziente dalla macchina». Ma, afferma la deputata dem, «la struttura sanitaria è obbligata a dare seguito alle volontà del paziente, come stabilisce il comma 10 dell’art. 1», trovando un sostituto del medico obiettore. La differenza con la legge 194, sostiene Lenzi, sta nel fatto che il medico non potrà dirsi disponibile o non disponibile a priori ma deciderà caso per caso. Un controbilanciamento apprezzabile, secondo l’Associazione radicale Luca Coscioni, promotrice di una legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia che giace in parlamento, ma che comunque ha l’odore di «trappola»: «Sarà necessario trovare al Senato formulazioni meno ambigue», si augura la segretaria dell’Associazione, Filomena Gallo.

Sia l’avvocata radicale che l’on. Gregori di SI sottolineano anche i limiti dell’altro emendamento approvato (con l’astensione di SI), presentato dal presidente della commissione Affari sociali della Camera Mario Marazziti di Democrazia solidale-Centro democratico, che impone al medico, «nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte», di astenersi da «ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati». Ma, al contempo, «il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente». Ma può anche rifiutarsi di farlo, pur dinanzi alla richiesta esplicita del paziente.