Partita chiusa. Anzi no. Guido Bertolaso resta il candidato. Forse. Il possibile accordo con Giorgia Meloni e la Lega di Matteo Salvini è naufragato una volta per tutte. A meno che non arrivi dall’arrogante pulzella «un gesto riparatore». Quale? E chi lo sa: qualcosa. Una convergenza dell’ultimo minuto sul Alfio Marchini? Possibile a metà pomeriggio. Potrebbe tramontare o imporsi a sera. Ma anche no.

Al peggio non c’è mai fine, e l’agonia di Forza Italia si consuma, ogni giorno più grottesca, a Roma. Ieri mattina giro di incontri: sfilano Gasparri, Brunetta, lo stesso candidato. Poi nuovo pranzo a palazzo Grazioli, stavolta solo con il partito romano, che dell’accordo con la Meloni è il più fiero antagonista. Il capo sta con loro, anche se probabilmente per motivi diversi. Il monarca è offeso, e si sa che in Silvio Berlusconi la divisione tra personale e politico è sempre stata inesistente. Potrebbe ripensarci, ma solo a fronte di un segnale chiaro da parte della impudente ragazza, segnale che quasi certamente non arriverà. Se non proprio l’azzeramento della candidatura per ripartire da zero, ipotesi che è di fatto fuori tempo massimo, almeno l’accettare quella lista unitaria che la leader di Fdi ha già bocciato. Strada sbarrata. La Meloni vuole la conta interna. Pensa di portare i suoi Fratelli intorno al 15% nella Capitale, e poi usare il bel risultato come trampolino di lancio.

Dunque avanti tutta col brocco, pardon con l’ex capo della Protezione civile, solo che ormai tutti, anche il più fiducioso che si chiama Berlusconi Silvio, si sono resi conto di aver puntato sul cavallo sbagliato. Così uno spiraglio per l’opzione «Arfio» resta aperto. Il coordinatore romano Davide Bordoni lo dice apertamente a pranzo terminato: «L’orientamento è restare su Bertolaso, e per il 29 aprile presenteremo le liste. Però molti sondaggi dicono che al ballottaggio Marchini batterebbe la Raggi, quindi può essere un’ipotesi».

In effetti al ballottaggio contro la Raggi, Marchini farebbe incetta dei voti del centrosinistra in funzione anti Grillo e potrebbe farcela. Solo che prima al ballottaggio dovrebbe arrivarci e non è facile. Ma non è questo il solo dubbio. Fino a che tiene su Bertolaso, Berlusconi può impugnare il «rispetto degli impegni presi» e almeno limitare la portata della rottura con la destra fascio-leghista. Scegliere un candidato alternativo vorrebbe dire rendere molto più probabile una frattura totale. A breve, quindi, Berlusconi dovrebbe incontrare Marchini e porre come condizione del ritiro del suo campioncino il riconoscimento del ruolo di Forza Italia. Ma anche questa è una proposta spinosa. Per chi ha impostato la campagna elettorale sull’essere «liberi dai partiti» non sarà facile trasformarla in «liberi dai partiti tranne uno».
La verità è che nel partito azzurro nessuno sa come andrà a finire. Anche i più esperti navigano a vista, però nella nebbia fitta. L’inerzia gioca a favore del candidato che già c’è, anche perché Berlusconi sa di non poter tentennare ancora per molto. Glielo ha detto la Ghisleri lunedì, presentandogli i sondaggi esiziali per Bertolaso: «L’elettorato è confuso. Bisogna prendere una decisione il prima possibile». E se era confuso lunedì, figurarsi dopo la giostra impazzita degli ultimi tre giorni.

Tutto lascia dunque credere che le comunali, per la destra italiana, saranno il campo di battaglia tra l’«antica» destra modello Arcore e quella rampante lepenista che ritiene di avere la vittoria in tasca e non lascia sponde a mediazioni che somiglino anche solo a una parziale resa. «Sono stufo delle beghe politiche. Il nostro candidato c’è e si chiama Meloni», taglia corto Salvini e la Meloni, laconica, si limita a segnalare già dal mattino il proprio disinteresse per eventuali incontri con l’ex sovrano. Ma la battaglia non si combatterà solo sui sette colli: a Napoli e Torino sono già in campo liste antagoniste a quelle azzurre. Quale anima dovrà avere la destra italiana del futuro lo decideranno gli elettori, non gli accordi a tavolino.