Giorgia la Castellana fa l’ospite cortese, tratta il Cavaliere con il rispetto dovuto al fondatore della destra. Quando arriva in macchina dribblando la selva di telecamere e passanti curiosi lo accoglie in cortile col sorrisone stampato in viso. Chi conosce Silvio Berlusconi sa che per lui non si tratta di un particolare. Silvio il Galante fa l’affabile, sfodera la modalità seduttiva e tutto fila liscio, fino alla foto patinata finale, più eloquente di qualsiasi comunicato. La coppia felice.

È UNO DI QUEGLI incontri dall’esito scontato in partenza: senza un’intesa a priori soprattutto su uno dei punti chiave, la delegazione unica della destra sul Colle per le consultazioni, l’appuntamento non ci sarebbe stato. La destra un’altra rissa non poteva permettersela. Certo, ancora in mattinata i duri azzurri avevano provato a mettersi di mezzo. Gianfranco Micciché non escludeva l’appoggio esterno ma l’impeto della famiglia e degli intimissimi, di Marina e Piersilvio, di Gianni Letta e Fidel Confalonieri era troppo poderoso per essere respinto. Licia Ronzulli trova modo di ufficializzare il passo indietro: «Non c’è mai stato un caso Ronzulli e se c’è stato non c’è più». Capitolo chiuso.

Sul numero delle poltrone da dipingere in azzurro la futura premier spalanca le porte: 5 ne chiedeva il Cavaliere e 5 saranno. Però la leader chiarisce che non possono esserci accoppiate tra nomi e caselle tali da irritare Sergio Mattarella. La lista dei ministri, che la presidente del consiglio in pectore vuole consegnare a strettissimo giro dopo il conferimento dell’incarico il 21 sera, è anche un biglietto da visita. Il capo dello Stato non deve bocciare nessuno: deve fare tanto di cappello. Significa che la Giustizia a un forzista, peggio che andare di notte se avvocato di Berlusconi, proprio non può andare. Significa anche che il Mise, con telecomunicazioni annesse, è altrettanto fuori discussione. Benissimo la ex presidente del Senato Elisabetta Casellati: però alle Riforme. Nessun problema su Anna Maria Bernini e Alessandro Cattaneo, ma rispettivamente all’Università e alla Pubblica amministrazione, mentre Gilberto Pichetto Fratin si occuperà della Transizione ecologica. Quanto a Antonio Tajani, era già blindatissimo sia da Berlusconi che da Meloni come ministro degli Esteri e vicepremier.

C’È UN ULTERIORE pollice verso della quasi premier, che non compare nelle liste dei ministri in ampia circolazione ieri sera. Il sottosegretario con delega all’Editoria, con la Giustizia obiettivo numero uno del Cavaliere, non sarà concesso. Il presidente della repubblica non gradirebbe e neppure la futura premier che ritiene fondamentale dare un segnale chiaro di rottura con il passato. Incluso quello dei governi Berlusconi.

Accordo chiuso dunque? Non del tutto. Dai bastioni forzisti assicurano che il nodo della Giustizia non è sciolto. Insomma, nella possibilità di assicurarsi via Arenula Berlusconi ancora un po’ ci spera. Ma è un’eventualità molto remota perché cedere su quel punto vorrebbe dire per Meloni rinunciare a quello slittamento nel ruolo di palazzo Chigi a cui mira: non più presidente del consiglio, quasi un primus inter pares, ma capo del governo, sulla scia di Mario Draghi. La delegazione di FdI risponde ai requisiti considerati decisivi dalla futura premier. Carlo Nordio, quasi un tecnico, alla Giustizia (sempre che non la spunti in extremis Berlusconi), Francesco Rocca o Guido Bertolaso alla Salute, lo storico Giordano Bruno Guerri alla Cultura, e tra i politici Adolfo Urso, Guido Crosetto e Raffaele Fitto rispettivamente a Difesa, Sviluppo e Affari europei.

LA LEGA FESTEGGIA e canta vittoria: «Smentiti i gufi e la sinistra. Il centrodestra è determinato a partecipare alle consultazioni con una delegazione unitaria». Con le Infrastrutture e il ruolo di vicepremier per se stesso, la casella fondamentale dell’Economia per Giorgetti, gli Affari regionali per Calderoli e un tecnico considerato affidabilissimo come Matteo Piantedosi agli Interni, Salvini ha tutte le ragioni di sentirsi soddisfatto.

La sola ombra è quanto la resa di Berlusconi sia sincera e convinta, quanto il Cavaliere sia pronto ad accettare di non essere più il sovrano e quanto invece aspetti solo che i rapporti di forza cambino e intenda darsi da fare per sovvertirli presto con una sotterranea guerriglia parlamentare. Oggi nessuno può giurare che seguirà l’una o l’altra strada.