Marco Morosini, docente di politica ambientale al Politecnico di Zurigo, è stato autore e ghost writer del Beppe Grillo ambientalista dei primi anni Novanta. Con lui parliamo della svolta ambientalista del M5S e delle prospettive nel governo Draghi.

«Già nel 1993, nello spettacolo di Beppe che andò in onda su RaiUno – dice oggi – parlavamo di una rifondazione ecologica»

Dunque professore, per Grillo è un ritorno alle origini?

Ognuno definisce «le origini del M5S» come gli pare, in base a quando vi è entrato. Di origine però ce n’é è una sola. È al 100% social-ecologista ed è espressa in tre pietre miliari.

Nel 1993, lo spettacolo su RaiUno, con 13 milioni di spettatori, fu la nostra dichiarazione di guerra alla «inciviltà dei consumi».

La seconda pietra miliare è il nostro film del 1998 Un futuro sostenibile, tratto dal libro libro Futuro sostenibile del Wuppertal Institut il principale think tank social-ecologista europeo per due decenni riferimento di Grillo e dei primi grillini.

La terza è la più politica, un vero programma di governo in una sola pagina. Mi riferisco all’articolo di Grillo intitolato «Perché non voto» uscito sul settimanale Internazionale l’11 aprile 2008. Indicava con una sola parola la chiave della transizione social-ecologica: «Meno».

Indicammo tempi (il 2050) e quantità da ridurre: dimezzamento di energia, lavoro salariato, materie prime. Grillo concludeva: «Al momento non mi sembra ci siano partiti capaci di portarlo avanti. Se ne conoscete uno, buona fortuna».

Un anno dopo nasceva il M5S.

Esatto. Ma gli obiettivi del dimezzamento divennero altri: le «poltrone», i «vitalizi», le «auto blu».

Che ne pensa delle proposte di Grillo a Draghi?

La più importante è la fusione dei ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico in un unico ministero per la transizione ecologica e solidale, come in Francia e Spagna. Questo super-ministero dovrebbe essere la cabina di regia pluridecennale per una profonda trasformazione della società, non solo dell’economia.

Solo questa trasformazione ci può permettere di far fronte a crisi che diventano sempre più drammatiche. Quelle della natura, delle disuguaglianze, delle migrazioni, del lavoro. Si tratta di un cambiamento di civiltà, non di governo, di economia, di tecnologie.

Nel Recovery plan ci sono spazi ci sono per una vera transizione ecologica?

La transizione social-ecologica è un processo di decenni, non di semestri. Se verrà speso per la transizione social-ecologica il Recovery plan può aiutare a fare nella direzione giusta il primo centimetro di un lunghissimo cammino.

È una contraddizione parlare di ambientalismo a un governo che probabilmente farà ripartire le trivelle e sicuramente farà procedere la Tav?

Ogni guerra è fatta di battaglie vinte e battaglie perse. Ma non tutte hanno la stessa importanza. In un sistema politico pluralista, se non si riesce a conquistare una larga maggioranza non si può cambiare un sistema, né tanto meno una civiltà.

Se il Movimento 5 Stelle avesse messo per dieci anni più competenze, più umiltà e meno odio e volgarità nel suo agire politico, avrebbe avuto i presupposti per ambire a un’egemonia di idee, programmi e simpatie. Invece si è incarognito in una guerra furibonda a «loro».

Ma «loro» chi? Ognuno è il «loro» di qualcun altro. Vede, un capitolo del mio libro, Snaturati, si intitola «Gramsci e Casaleggio» e mette a raffronto l’Ordine Nuovo del primo con il «Nuovo ordine mondiale» del secondo. Sembra uno scherzo, ma è un capitolo molto serio e aiuta a capire come mai il M5S si è ridotto nelle attuali condizioni.

Pensa che ci sia il rischio che l’ambientalismo diventi un alibi, una forma di greenwashing dell’immagine di Mario Draghi?

Se non si ha la stoffa per un’egemonia trasformativa, bisogna accontentarsi del poco che in pochi si riesce a conseguire. Ma se si riesce a piantare una pietra miliare come il ministero per la transizione ecologica, allora sarà valsa la pena. Il mulino della storia macina lento