La Germania ha smesso di annoiarsi. E non sembra esserne troppo contenta. D’improvviso, fatto inaudito nella storia della Bundesrepublik, si risveglia senza alcuna possibile maggioranza parlamentare. Dopo diverse settimane di trattative nessuna coalizione è disponibile per formare il nuovo governo.

Due sole alternative si stagliano all’orizzonte: un governo di minoranza o le elezioni anticipate.

La prima potrebbe funzionare solo come una forma mascherata di Grande coalizione, ma il netto pronunciamento di Martin Schulz per la seconda ipotesi sembra escludere questa possibilità.

Le elezioni anticipate sono comunque un’anomalia e una incognita che però il segretario della socialdemocrazia preferirebbe affrontare piuttosto che attestarsi sul pessimo risultato conseguito dalla Spd nell’ultima tornata elettorale. Benvenuti, amici tedeschi, nei climi politici del Mediterraneo.

È una situazione, quella in cui si trova oggi la Repubblica federale, che non ha precedenti dai tempi della Repubblica di Weimar.

La Germania postbellica ha sempre potuto contare su forze politiche comunque disponibili al compromesso pur di garantire continuità e stabilità politica al paese. Questa disposizione all’accordo è andata però trasformandosi in un appiattimento, in una crescente indistinzione tra le forze politiche che ha finito con l’allontanare elettori e interlocutori sociali verso formazioni minori o verso l’astensione.

A farne le spese maggiori è stata proprio la Spd secondo il principio che il potere logora chi lo ha, ma non abbastanza, tanto è oscurato dall’ombra della Cancelliera Merkel.

Deve essere stato questo il ragionamento che ha spinto il leader liberale Christian Lindner a far saltare la trattativa per una coalizione tra Verdi, Fdp, Cdu e Csu. Con l’intento di giocarsi una presunta “diversità” dall’establishment partitico in concorrenza con la destra nazionalista di Alternative fuer Deutschland.

A dimostrazione di quanto la semplice presenza di questa formazione politica influenzi il funzionamento dell’intero sistema. Il segretario della Fdp è un avventuriero che ha radicalmente trasformato la natura del partito, già pragmatico, flessibile, vicino agli interessi dell’imprenditoria, attento ai diritti civili e alla gestione diplomatica dei rapporti internazionali, in alcuni momenti correttivo democratico del duopolio Spd\Cdu.

Paradossalmente (ma i punti di dissenso con i Verdi erano numerosi) Lindner ha rotto nella maniera più visibile sulla politica migratoria, in particolare rifiutando di riaprire ai ricongiungimenti familiari, un tema sul quale il liberismo imprenditoriale è invece solito preferire politiche di maggiore apertura.

Fatto sta che l’imprenditoria e la finanza germaniche, godono ormai di uno stato di salute tale da rendere superflua la presenza di un partito che le rappresenti direttamente. Cosicché il nuovo capo della Fdp ha scelto di pascolare, sia pure con toni più urbani, nello stesso prato della “priorità nazionale” che già nutre Afd.

I Verdi, a quanto dichiarano i loro stessi negoziatori, sarebbero stati a un passo dall’accordarsi con la destra cattolica bavarese della Csu sui ricongiungimenti familiari grazie a una formula di sapore andreottiano che stabilisce un tetto senza stabilirlo. Cedimento sconcertante che testimonia quanto a destra si situasse il baricentro della trattativa. Ma, visti gli esiti, non abbastanza.

L’elemento più peculiare di questa crisi politica è il contesto di florido successo economico nel quale si produce. Tutti gli indicatori sono di segno positivo e la competitività del sistema Germania non sembra, almeno a medio termine, minacciata da alcunché.

Sebbene le diseguaglianze e le condizioni di sofferenza sociale crescano, la conflittualità resta molto bassa e sotto controllo. Tutto lascia pensare che un periodo di instabilità politica non nuocerà affatto all’economia tedesca.

Anzi, proprio la solidità dei poteri economici potrebbe sostituirsi come punto di riferimento e principio di equilibrio alla temporanea latenza della politica, mitigando ogni senso di insicurezza che rischi di insinuarsi nell’opinione pubblica.

Del resto Merkel e il suo governo resteranno per il momento al loro posto ad amministrare gli interessi della Germania, secondo i criteri fin qui seguiti. L’economia non ha in questa fase alcun bisogno di riforme: tutto quello che doveva essere fatto al servizio della rendita e dei profitti è stato fatto. Tanto meglio se una pausa dell’attività legislativa lascerà le cose come stanno.

A uscirne con le ossa rotte rischiano di essere proprio i partiti sospinti verso la sfera del superfluo.

Resta la domanda se si sia conclusa o meno l’era Merkel. È improbabile finché in casa democristiana non si intravedano alternative. Difficile imputare alla Cancelliera la colpa per il fallimento del negoziato per costruire una coalizione quasi impossibile.

E poi, se si tornasse alle urne, non è escluso che la nostalgia delle sicurezze del passato prevalga sulla voglia di cambiare.