Con una decisione presa a maggioranza ieri la Banca Centrale Europea (Bce) ha aumentato il tasso sui depositi al 4%, quello sui prestiti marginali al 4,75 per cento e i tassi di interesse per la decima volta consecutiva – ma ancora non si sa se ultima – al 4,50%. Il massimo dal maggio 2001. Il tentativo è di fare scendere l’inflazione. Ma, stando alle sue stesse stime, dopo un notevole calo, l’inflazione ha ricominciato a salire. Le stime precedenti sono state riviste: ora è prevista al 5,6% medio per il 2023 e al 3,2% nel 2024. A giugno erano, rispettivamente, al 5,4% e al 3%. Per il 2025, la Bce si aspetta l’inflazione dovrebbe tornare vicino alla soglia attesa: 2,1%.

LE STIME sulla crescita per l’Eurozona continuano nel frattempo ad essere tagliate ben più di quelle prospettate dalla Commissione Europea. La Bce sostiene che quest’anno sarà dello 0,7%, 1% nel 2024 e 1,5% nel 2025. A giugno le stime indicavano rispettivamente lo 0,9%, l’1,5% e l’1,6 per cento. Una revisione, ha spiegato ieri la presidente della Bce Christine Lagarde, causata dall’incertezza di quest’anno che si prolungherà anche nella prima metà dell’anno prossimo. Dopo diversi annunci, alla fine il ritorno alla crescita è stato rinviato alla seconda metà del 2024.

NELLA CONFERENZA stampa tenuta a Francoforte Lagarde si è di nuovo dibattuta nel dilemma che sta portando le banche centrali a punire le famiglie e i lavoratori preventivamente: per evitare domani di pagare le conseguenze di una recessione è meglio farlo oggi aumentando il costo del denaro e neutralizzando gli aumenti non uniformi dei salari. «Non vogliamo una recessione – ha detto Lagarde – ma adempiere al nostro mandato che è la stabilità dei prezzi». Lagarde ha inoltre evidenziato che la «lotta» contro l’inflazione sta facendo «progressi», ma l’inflazione continua ad essere «troppo alta e troppo a lungo», quindi l’obiettivo è «abbassare l’inflazione per quelli che ne sono più colpiti».

IL PROBLEMA è che l’inflazione colpisce proprio loro, le stesse persone penalizzate dall’aumento dei mutui o dal calo del potere di acquisto dei salari. Senza contare il fatto che il suo recupero avverrebbe solo nel 2025. Quando, probabilmente, l’inflazione dovrebbe essere domata.

NELLA CONGIUNTURA che va lentamente peggiorando la Bce ha inoltre previsto il calo della crescita dei «salari nominali», cioè la quantità di moneta guadagnata dal lavoratore per il servizio prestato. Secondo le stime della Bce questo tipo di salario, diverso da quello «reale» che indica la quantità di beni acquistabili dal lavoratore, continuerà a crescere relativamente anche tramite l’aumento dei salari minimi. Una misura, com’è noto, assente in Italia dove i salari sono sostanzialmente fermi da trent’anni. In attesa che si diradi la cortina di fumo alzata dal governo al Cnel – si attende la proposta sul salario minimo da parte del presidente Brunetta – si continuerà con rimedi inefficaci (taglio del cuneo fiscale) e carte per un’estrema minoranza dei poveri.

A CHI LE HA CHIESTO se i rialzi siano finiti oppure se la decisione di ieri lascia la porta aperta a nuovi aumenti dei tassi Lagarde non ha sostanzialmente risposto. E ha ribadito che l’approccio della Bce è «guidato dai dati» e non dal conflitto ornitologico tra falchi e colombe con il quale si ama descrivere le vaghezze di Francoforte. Il problema è che i dati iniziano a mostrare gli effetti di una politica che, detta in prosa, naviga a vista all’interno di un paradigma economico che non intende vedere le origini speculative dell’attuale ciclo. L’inflazione è dovuta all’aumento dei profitti, non a quello dei salari. Ciò che è sembrato più certo dalle parole della Sibilla Lagarde è la durata dell’aumento dei tassi di interesse. Visto che l’inflazione resiste, allora resteranno alti più a lungo. Ecco la sintesi: «I tassi di interesse hanno raggiunto livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, contribuiranno in modo sostanziale al tempestivo ritorno dell’inflazione all’obiettivo» ha detto Lagarde. Con il risultato che la domanda di prestiti si è già indebolita e le banche stanno inasprendo i loro standard di credito.

IL PEGGIORAMENTO delle stime sull’inflazione e sul Pil stringe ancora più all’angolo il governo Meloni, e la sua maggioranza, che borbottano da settimane, impotenti. Ieri si è fatto sentire il ministro «del made in Italy» Adolfo Urso secondo il quale «questa nuova decisione non aiuta la ripresa economica, visto che la Germania è già in recessione». Le ultime illusioni. Non la pensano così le borse che ieri hanno scommesso sulla prossima fine dei rialzi.. Milano ha brindato a +1,4%.