È raro trovare una periferia metropolitana così votata all’arte come quella di Tor Sapienza. Non è solo una questione di toponomastica, tra viali intitolati a Giorgio Morandi e Giorgio de Chirico e parchi dedicati al barone rampante di Italo Calvino. Nell’ex salumificio della Fiorucci al civico 913 di via Prenestina, occupato nel 2009 dai Blocchi precari metropolitani e ridenominato Metropoliz, può accadere di vedere qualcuno spuntare da un muro affrescato, com’è possibile solo nel Palazzo Vecchio di Firenze, con la differenza che può passare tra il buen retiro di un Cosimo de’ Medici e la modesta dimora di un immigrato latinoamericano. Giorgio de Finis è una delle menti principali di questa originale esperienza di un quartiere che è come una cipolla: solo sfogliandolo ne scopri le diverse realtà, finché ti accorgi che, arrivando al suo cuore, può esservi contenuto l’intero mondo.

Nell’ex fabbrica recuperata vivono famiglie rom e sudamericane, italiani e nordafricani. Duecento persone, più artisti e attivisti, che passeggiano tra le quattrocento opere che ne fanno uno dei più grandi luogoespositivi abitati del pianeta, si fermano in un giardinetto appena arrivato dal Moma di New York, si spostano tra i murales di Lucamaleonte e prendono l’ascensore dipinto d’oro da Michele Welke per simboleggiare come oggi il denaro sia simbolo dell’ascesa sociale e pure come l’artista, novello Re Mida, qualsiasi cosa tocchi diventa oro, fino ad arrivare sulla torre dove Gian Maria Tosatti ha costruito il telescopio, fatto di barili di petrolio, diventato il simbolo di questo Museo dell’altro e dell’altrove, nell’ex agro romano divenuto ormai zona di archeologia post-industriale.

«È la nostra barricata artistica», spiega de Finis illustrando una per una le meraviglie nascoste di questo luogo dove un tempo si insaccavano salumi. «Ecco, questo è un Notargiacomo, un muro che oggi vale 150 milioni», in un’altra sala c’è un’opera che ricorda Guantanamo e anch’essa viene da New York, su un altro muro spicca un ritratto fatto con l’inconfondibile inchiostro blu delle penne Bic. Il progetto degli attuali proprietari, la multinazionale Salini-Impregilo, era di demolire l’intero edificio e gli occupanti, per impedirlo, lo hanno trasformato, con l’aiuto di decine di artisti da tutto il mondo, in quella che definiscono «una cattedrale contemporanea». Con il risultato che, «se ora vogliono abbatterla, saranno costretti a buttar giù un patrimonio stimato in due milioni di euro», a cominciare dagli Occhi di Malala del graffitista brasiliano Eduardo Kobra che guardano i passanti dal muro di cinta. Gli occupanti dell’ex salumificio Fiorucci, abbandonato dal 1984, hanno così realizzato quella che definiscono «l’utopia di vivere dentro un’opera d’arte collettiva», dimostrando, come spiega l’attivista Irene Di Noto, che «le soluzioni abitative sono possibili qui e ora, senza costruire ancora».

De Finis è un personaggio allo stesso tempo vulcanico e tranquillo, difficilmente definibile: artista, antropologo, filosofo, attivista, agitatore culturale. Con un altro videomaker, Fabrizio Boni, ha girato un divertente film-documentario che ha per protagonista la singolare tribù che abita questo luogo, i «metropoliziani», che un giorno decidono di abbandonare la città in cui vivono e di andare sulla Luna con un razzo, perché lì è l’unico luogo dove non esiste la proprietà privata e non è ammesso l’uso delle armi. Metropoliz è la loro Luna, ultimo giro di sfoglia della cipolla Tor Sapienza, paese-mondo all’interno del Grande Raccordo Anulare dove puoi ascoltare un immigrato affermare, senza paura di essere contraddetto da nessuno, che «un giorno anche a Roma avremo un sindaco africano, gli italiani lo devono capire».

E’ un concetto che a qualcuno pare essere indigesto, quest’ultimo. Di sicuro non va giù a chi, tre mesi fa a poche centinaia di metri dal civico 913 di via Prenestina, ha pensato di assaltare il centro di accoglienza per rifugiati gestito dalla cooperativa Il Sorriso e di avviare una caccia al nero dall’inconfondibile sapore xenofobo. «Non crediamo che la gente di viale Morandi sia razzista o fascista. Sono stati usati dalla politica», sostengono gli attivisti di Metropoliz. A supporto della loro tesi c’è la sospetta effervescenza di settori dell’estrema destra nelle periferie romane: nei giorni della rivolta a viale Morandi si è fatto vedere il leghista Mario Borghezio, eletto nella capitale al Parlamento europeo con il sostegno di Casa Pound, primo tassello della trasformazione della Lega guidata da Matteo Salvini da partito-movimento padano al Fronte nazionale italiano sul modello Le Pen. L’esponente leghista non è però stato trattato bene dagli abitanti inferociti e, nonostante tutto, non pare che la nouvelle droite da queste parti abbia sfondato.

A Tor Sapienza esiste un tessuto sociale che nonostante la crisi economica tiene ancora. Alfredo di Fante è convinto che molto si potrebbe fare, se solo ci fosse il sostegno della politica. Nel 2004 ha contribuito a fondare l’Agenzia di quartiere, con il gruppo Re-take ogni giorno inviano segnalazioni al Comune di luoghi degradati e mini-discariche abusive, ha convinto i rom a dare una mano a pulire i parchi ed è uno dei promotori di Re-block, un ambizioso progetto di riqualificazione del quartiere che ha superato ogni ostacolo a Bruxelles prima di rimanere impantanato nelle aule del Campidoglio. «Due anni fa l’Agenzia di quartiere è stata contattata dalla vicina Università di Tor Vergata per partecipare a un concorso europeo per l’area di via Morandi», spiega. Il progetto prevede, in buona sostanza, la riqualificazione di aree verdi e scuole, la sistemazione urbanistica della zona di via Morandi, l’assegnazione di terre incolte per l’agricoltura e la costruzione di un mercato biologico a km zero. Arrivato primo su venti progetti da periferie urbane di tutta Europa, a marzo 2014 Re-Block è stato presentato dalla giunta capitolina ai cittadini come «un esempio di inclusione sociale». Però poi si è arenato nelle pastoie della burocrazia capitolina. Alfredo di Fante non se ne capacita: «Si tratta di un lavoro già finanziato dalla Commissione Ue, con il coinvolgimento di un’università e di quaranta tra associazioni e comitati, prevede la partecipazione attiva dei cittadini eppure non riesce a decollare». Dopo la rivolta di novembre l’idea ha ricevuto nuova linfa ed è stata illustrata ai cittadini del quadrilatero di viale Morandi e al resto del quartiere, ai quali sono stati spiegati il senso e la portata: ci saranno servizi per anziani e disabili, minialloggi per i padri separati, per gli studenti fuorisede che daranno la disponibilità a fare doposcuola gratuitamente ai bambini disagiati e per gli artisti che in cambio dell’ospitalità doneranno delle opere al quartiere.

«Puntiamo sull’arte perché vogliamo combattere la povertà della vita in tutti sensi, non solo quello economico», spiega Di Fante. «L’esempio cui ci ispiriamo è Portobello Road a Londra. Abbiamo già individuato, con il contributo dell’Accademia di Belle arti, ventiquattro luoghi in cui artisti di levatura internazionale faranno, senza compenso, le loro opere, a partire dalla stazione ferroviaria e dalla piazza principale. Sarà un percorso di land art, pittura e scultura che collegherà Tor Sapienza con il centro di Roma», unendo simbolicamente il cuore della cipolla con la sfoglia che la contiene, la città eterna con la periferia che nel 1457 ospitò gli studenti arrivati da Perugia per capire perché la peste in queste campagne non aveva attecchito. Non si capisce per quale motivo il sindaco Ignazio Marino non abbia ancora abbracciato un progetto così suggestivo e soprattutto a costo zero.

2 – fine