La guerra rappresenta la massima forma di violazione dei Diritti Umani in generale e di quelli dei bambini in particolare. Le foto dei minorenni arruolati dalle milizie del generale Haftar nel tentativo di conquistare Tripoli ripropongono una piaga, quella dei bambini soldato, che la comunità internazionale finge di non vedere nelle sue implicazioni più strettamente economiche.

Le stime della Convenzione internazionale contro l’uso dei bambini soldato parlano ancora di oltre mezzo milione di minori impiegati sia da eserciti regolari sia da gruppi di guerriglia in ben 85 Paesi; più di 300.000 di questi bambini soldato sarebbero direttamente impegnati negli scontri a fuoco. Ad alimentare questa forma di schiavitù contemporanea è anche il traffico delle armi leggere, più o meno legale o tollerato, che le vede spesso impugnate da bambini sottratti alle famiglie con l’inganno di un futuro migliore o rapiti durante le azioni di rastrellamento.

Forse pochi sanno che le armi più popolari, tra cui il famoso L’AK-47, meglio noto come kalashnikov, è stato più volte modificato per adattarsi alle piccole mani. L’uso dei bambini soldato, e non solo in Libia, diventa dunque emblematico di cosa può produrre un modello di sviluppo in cui profitto prevale su ogni altra forma di valore etico.

La continua espansione della zona grigia tra economia legale ed economia illegale è il suo strumento principe, mentre nelle periferie del mondo, pauperizzate da un assoluto disequilibrio nella distribuzione delle risorse, i diritti dei più deboli vengono compressi o negletti e spesso, come nel caso dei bambini soldato, assumono forme che suscitano istintivo orrore: traffico di esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione infantile, il lavoro forzato ed infine l’assassinio per commercio di organi.

Per questi aspetti dell’economia è naturale, in nome della plusvalenza, appropriarsi di beni e di persone, tessere attorno al futuro di tanti esseri umani una tela inestricabile di privazioni. Migrazioni forzate, cambiamenti climatici, guerre senza alcuna regola umanitaria, da ultimo il caso dello Yemen con il bombardamento dell’ospedale di Save the Children, sono tutti aspetti correlati.

I bambini soldato fanno purtroppo parte integrante di questo scenario; il loro impiego nelle guerre dimenticate rappresenta dunque emblematicamente il risultato di una duplice negazione: quella della solidarietà di specie, il patto che assicura alle future generazioni di ereditare un mondo che sia migliore di quello passato, e di quella biosferica, che sancisce l’equilibrio tra il genere umano ed il pianeta che lo ospita.

Ma la logica consumogena del sistema dominante non guarda in faccia a nessuno, tantomeno al futuro. Non a caso le armi di distruzione di massa, belliche o no, sono oggi sempre più legate alla possibilità di danneggiare l’ecosistema, di inquinare le acque, di spandere materie radioattive, ma anche di pompare senza ritegno materie prime non rinnovabili, di brevettare il vivente per renderlo indisponibile come patrimonio collettivo.

L’idea stessa di sostenibilità dello sviluppo, con i suoi tempi lunghi e la necessità di programmare, investire nel capitale umano ed ambientale, nelle energie rinnovabili, rischia di essere azzerata dalla moltiplicazione dei conflitti che sono diventati, non a caso, anche la scusa per ripensare gli accordi multilaterali nel campo della cooperazione internazionale, deviando risorse verso una nuova corsa al riarmo.

Ecco allora che le denunce per le violazioni dei più basilari diritti dei bambini nelle guerre sparse per il mondo, così come la riaffermazione dei diritti legati ai minori migranti, alla loro protezione e non discriminazione alcuna a partire da ciò che accade anche in Paesi sviluppati come il nostro, si legano alle battaglie in difesa dell’ambiente, della salute, dell’istruzione per tutti.

Le prossime scadenze europee vedranno le Ong internazionali impegnate a sottoporre alle forze politiche questi ed altri temi correlati, in un manifesto programmatico ampiamente condiviso con altre istanze della società civile, nella convinzione che solo creando un ampio fronte solidale si possa contrastare le derive che di fatto rimettono in discussione l’impianto stesso del vivere civile nel nostro Continente e non solo.

* Presidente del Cini (Coordinamento Italiano Ong Internazionali)