Dal 14 novembre 2023 il museo parigino di Quai Branly, a due passi dalla torre Eiffel, propone «Visions chamaniques. Arts de l’ayahuasca en Amazonie péruvienne», mostra che rimarrà aperta sino al 26 maggio. Se in Occidente l’ayahuasca è considerata una droga, in genere proibita, per le popolazioni indigene, che da tempo immemorabile ne fanno uso, è un sacramento, il mezzo per accedere a una dimensione altra della realtà, comunicare con gli altri componenti della biosfera, accedere a informazioni di vario genere, soprattutto utili per curare malattie non solo fisiche.

L’ayahuasca, dichiarata patrimonio culturale in Perù, regionalmente è chiamata anche yage, hoasca, daime, caapi. È una pozione la cui ricetta base prescrive di far bollire per diverse ore una liana (Banisteriopsis Caapi) e le foglie di un arbusto (Psychotria Viridis, detto anche Chacruna).

Nel 1915 il botanico colombiano Rafael Zerda Bayón definì telepatina il principio attivo dell’ayahuasca (In quechua aya-wasca, ovvero liana degli spiriti o liana dei morti), termine poi ripreso negli anni ’40 da Richard Evans Schultes, padre della moderna etnobotanica.

Da lì – per farla breve – le esperienze di William S.Burroughs e le sue Lettere dello yage a Allen Ginsberg, la riscoperta dei funghi magici messicani, Albert Hofmann e l’Lsd, Timothy Leary, Carlos Castaneda, gli anni 60 psichedelici stroncati dalla guerra alla droga con simultanea immissione sul mercato dell’eroina.

Negli ultimi anni il clima sta cambiando, e la medicina occidentale sta riscoprendo il potenziale terapeutico degli psichedelici.

La mostra al Quai Branly è ricca di pannelli esplicativi, immagini dell’Amazzonia e dei suoi abitanti, in particolare gli Shipibo, sculture e dipinti ispirati dalle visioni indotte dall’ayahuasca.

Nella tradizione era proibito riprodurre le visioni. A infrangere il tabù fu Pablo Amaringo (1938-2009), un grande sciamano convinto nel 1985 a dipingere da Dennis McKenna e Luis Eduardo Luna. Nel 1988 a Pucallpa aprì la scuola di pittura Usko Ayar. Accanto ai suoi quadri le opere di altri artisti indigeni e occidentali come Martina Hoffmann, Roberto Venosa e Alex Gray.

Ampio spazio è dedicato al cineasta francese Jan Kounen, i suoi disegni, video con brani dei suoi film «amazzonici» (Blueberry, D’Autre Monde, The Story of Panshin Beka) e in una sala accanto, indossati occhiali per la realtà virtuale, ci si immerge nel suo Ayahuasca Kosmik Journey, 18 minuti di sue visioni accompagnate come nella realtà dagli icaros, il canto dello sciamano Guillermo Arevalo.

William Blake
«Quando le porte della percezione verranno purificate, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite»

Figura centrale delle cerimonie con l’ayahuasca è lo sciamano, in grado di «vedere» cosa passa nella testa dei partecipanti alla cerimonia, e avvertire qualcuno – se è il caso – che sta deragliando verso insane paranoie o infernali loop.

Ma l’ayahuasca non può essere ridotta a un semplice allucinogeno, c’è una cultura e una visione del mondo alle sue radici, una tecnologia complessa che verifica quanto profetizzato da William Blake: «Quando le porte della percezione verranno purificate, tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite».

Siamo a colloquio con Jan Kounen: «Questa mostra è merito di David Dupuis, lo conosco da lungo tempo, è dal 2008 che si è dedicato all’ayahuasca e alla medicina del mondo indigeno. A maggio 2022 un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: senti sto allestendo una esposizione al Quai Brainly sull’arte dell’ayahuasca, mi piacerebbe esporre i tuoi disegni, brani dei tuoi film e l’Ayahuasca Kosmic Journey. Mi ha illustrato il suo progetto, con le opere degli artisti shipibo, di Pablo Amaringo e dei visionari occidentali. Sono veramente contento di parteciparvi, credo sia la prima di questo tipo in Europa e forse nel mondo, sono contento – al di là della mia partecipazione personale – per la decisione del Quai Brainly, un museo di fama internazionale, di allestire una mostra sulle visioni di piante delle quali è proibita la consumazione in Francia. Penso che sia una cosa importante per la cultura e l’arte dell’ayahuasca».

Al di là del valore artistico questa mostra assume una grande importanza filosofica, culturale, politica…

È così, un museo nazionale che si interessa a queste sostanze proibite…mostre sull’arte psichedelica, visionaria, ci sono state ma sempre in gallerie private, mai in un museo sostenuto dallo stato, e questo arriva in un momento nel quale i medici, in psichiatria, hanno ripreso a interessarsi ai trattamenti che possono essere fatti con le sostanze psichedeliche. Questo è un fatto nuovo in Francia, un cambiamento di paradigma, un nuovo sguardo.

Quanti vedranno questa mostra?

Il numero esatto il museo lo darà solo alla fine dell’esposizione, io posso dirti che se saranno 50.000 non sarà buono, 100.000 sarà un successo. E credo che sarà un grande successo.

Recentemente hai pubblicato «Metavers»…

E anche la graphic novel Doctor Ayahuasca. Quando David mi ha proposto questa esposizione stavo finendo Metavers con Romuald Leterrier, ma quando ho saputo dell’esposizione – sono oltre 20 anni che faccio disegni – mi sono detto questo è il momento che esca Doctor Ayahuasca e anche un altro libro, un manuale dal titolo Ayahuasca scritto con Francois Demange. Da un paio d’anni, dopo il mio piccolo manuale Carnet de Voyage Interieur, mi dicevo sarebbe bene farne un altro per andare più in profondità, farlo con un guaritore, uno sciamano, parlare anche di quello che succede allo sciamano durante una cerimonia, dare dettagli su come l’ayahuasca sia connessa col mondo indigeno. Mi sono incontrato con Guy Trédaniel, l’editore, non pubblicava graphic novel, ma questa esposizione al Quai Brainly sarà una cosa importante – gli ho detto – e lui ha colto al volo l’occasione e ha deciso di pubblicare Doctor Ayahuasca lanciando una nuova collana di graphic novel. A quel punto ho lasciato perdere per il momento il cinema e ho messo tutta l’energia per finire Doctor Ayahuasca.

Il sottotitolo di «Metavers» è «E se fosse sempre esistita?»

Spesso l’uomo inventa delle cose secondo quanto osserva, è intelligente, guarda. Per esempio vede un uccello volare e si inventa un oggetto con le ali. La cultura occidentale è materialista, ma spesso non ci rendiamo conto che questo spazio di realtà in effetti è un interfaccia che ci permette di navigare, come spiega il filosofo Bernardo Kastrup. La realtà fisica ci permette di muoverci, di comunicare tra noi, ma è come un filtro. Quando inviamo una email arriva una icona, se arrivassero le migliaia di bit che la compongono sarebbe illeggibile, così se dovessimo accedere alla realtà nella sua interezza ci perderemmo. Quando prendiamo l’ayahuasca, Kastrup lo spiega bene, il tuo mondo di icone scompare e vedi molto di più, non puoi agire come al solito, ma non è grave, dura 3, 4, 5 ore, e puoi accedere a un tipo di informazioni che vengono da una realtà più profonda. Ora che vuol dire se il metaverso è sempre esistito? Quando gli indigeni comunicano con le piante, con gli spiriti, o tra loro a distanza, accedono a un metaverso naturale, una connessione in uno spazio che la nostra cultura non conosce, una dimensione alla quale non crede, ma gli indigeni sono stati istruiti dalle piante a navigare in questo sistema e a operare. Dunque esiste un metaverso naturale, ovvero uno spazio di comunicazione … è come se avessimo per tutto il tempo sulla testa un casco per la realtà virtuale per vedere le icone, ovvero tutto quello che ci circonda, gli oggetti, la famiglia, quelle cose che ci permettono di comunicare tra noi.

L’ayahuasca ti toglie il casco.

Abbiamo messo quel sottotitolo per dire che con la realtà virtuale stiamo creando qualcosa che già esiste, che la nostra cultura non vede ma che inconsciamente agisce costantemente in noi. Il metaverso naturale esiste già ed è molto più potente. È l’oggetto di questo libro, nel quale si parla delle piante e delle conoscenze idigene.

Quello che la mostra non dice esplicitamente, ma suggerisce, è l’inadeguatezza della visione materialista, l’esperienza dell’ayahuasca pone domande fondamentali sulla natura della coscienza e della realtà…

Assolutamente. Riguardo alla coscienza pensare che sia prodotta dal cervello è come credere che l’apparecchio televisivo produca i programmi. Il mondo indigeno connesso all’ayahuasca considera che lo spirito non è nel cervello, ma che cervello e cuore sono nello spirito. Lo spirito è dappertutto. Ho scoperto l’idealismo analitico di Bernardo Kastrup solo da poco, i suoi video su Youtube sono molto interessanti. Sono molto chiari e comprensibili, pragmatici.

Perché alcune piante producono molecole che alterano la nostra percezione?

Noi siamo figli delle piante e le piante sono come dei nonni verso i propri ragazzi, vale a dire che anche se le danneggiamo e le calpestiamo quando siamo bambini, sono comprensive, come i nonni rispondono alle domande anche maldestre dei bambini. Questo dicono gli indigeni, perché le piante sono su questo pianeta da prima di noi. Finora non è stata trovata una risposta al perché le piante producono queste molecole, che utilità hanno per esse stesse, ma queste sostanze vanno a inserirsi nei neurorecettori del cervello dei mammiferi, e mettono in comunicazione il regno vegetale e quello animale. Come comunicano le piante – infatti le piante comunicano tra di loro – quale è il loro linguaggio? È La chimica, e quindi hanno sviluppato sostanze che le permettono di comunicare anche con i mammiferi. Quello che succede con l’ayahuasca non è altro che questo. Le piante ci aiutano così noi possiamo aiutare il mondo delle piante. È possibile una vera alleanza. Io sono oltre 20-25 anni che sono in rapporto con le piante e che prendo l’ayahuasca, le piante non si muovono, sono differenti, ma sono esseri con i quali si può comunicare, dialogare.

Hai sicuramente visto Il film «Avatar».

Certo, e dopo con Romuald volevamo fare un libro dal titolo Voi sognate di vivere su Pandora?. Ma non ne vale la pena, perché sulla Terra è la stessa cosa, c’è l’ayahuasca, la connessione, gli indigeni, la natura, l’Amazzonia… è la stessa cosa.

Quel film non ha aperto gli occhi a molta gente…

È vero, ma poco a poco…vedi se oggi il Quai Brainly fa questa esposizione che ha per soggetto le arti, la filosofia, la letteratura, la farmacologia e ci sono tanti giovani che si interessano, poco a poco le cose cambiano. È così, forse un giorno si avrà un ribaltamento.

«Ayahuasca Cosmic Journey» dura 18 minuti, durante una cerimonia hai visioni così continue?

Anche di più, se l’effetto è forte puoi avere anche due ore di visioni, diminuiscono dopo 4 ore.

Nelle visioni dell’ayahuasca ricorrono spesso serpenti, ma anche altri animali…

A natale sono andato sul mar Rosso e ho nuotato una settimana con i delfini, molto da vicino. Ho messo su istagram un video e in seguito, quando ho preso l’ayahuasca …pfff!… improvvisamente ero in una «clinica» di delfini! È stato incredibile.

Stai lavorando a un nuovo film…

Si intitola L’homme qui rétrécit, con Jean Dujardin, è ambientato ai giorni nostri, dal romanzo del 1956 The shrinking man di Richard Matheson.

Pensi di fare altri film sull’Amazonia e l’ayahuasca?

Ho già fatto tre film, 4 libri, la graphic novel, i disegni…l’industria del cinema attualmente non è molto interessata, se propongo nuovi progetti del genere Blueberry o sugli stati modificati di coscienza questo non interessa ai produttori. Forse le cose cambieranno, o no, per conto mio quello che mi piacerebbe fare sono nuovi progetti con la realtà virtuale, più interessanti, differenti, basati sulle mie esperienze con l’ayahuasca ma meno nel genere documentario, con tante visioni, più liberi, in grado di provocare stati di coscienza modificati. Sto lavorando a un progetto che si chiama Deep Self. Con i nuovi caschi e le nuove tecnologie si possono fare cose incredibili. Mi piacerebbe fare dei film di fiction per il cinema, sugli stati modificati di coscienza, il mondo degli indigeni e delle piante, il postmaterialismo, la coscienza, lo spirito, l’anima, la connessione con la natura, ma per ora non so se sia possibile trovare i finanziamenti.

Penso che L’homme qui rétrécit sia un buon progetto, è su uno stato di coscienza modificato, un viaggio dove la percezione è completamente modificata, mi interessa veramente questo film, le riprese cominceranno a maggio, ma onestamente penso che preferirei mettere le mie energie più nella creazione artistica che nel cinema, il cinema è la mia passione, è il mio mestiere, ma credo che forse in futuro, tra qualche anno, non farò più cinema ma disegni e realtà virtuale.

Il cinema cambia, a suo tempo ho avuto molte opportunità, non credo che farò del cinema che non mi interessa solo per guadagnare, forse farò un po’ di serie o qualcosa che mi divertirà scoprire, qualcosa che viene dal cuore, che mi ispiri, ne parlo in Metavers, in Ayahuasca e in Doctor Ayahuasca, in questi tre libri c’è il mio interesse per la creazione e per la mia vita di essere umano. Una volta mi dicevo che a tante domande non avrò mai risposta, il punto è che non si avranno mai le risposte. Le grandi questioni sono sempre se c’è un creatore, se l’universo è finito cosa c’è dietro, cosa c’era prima, e come è cominciato, non dico di avere risposte più o meno intellettuali a queste grandi questioni, ma ho avuto delle esperienze più o meno intense che hanno fatto sparire le questioni, le domande sono scomparse, non me ne preoccupo. Ma non posso dire che ho delle risposte da dare.

L’ayahuasca si va espandendo…

Trovo che vi siano due epoche, quella di Burroughs e gli anni 60, con artisti, intellettuali, medici e giovani che erano interessati alle sostanze, hanno avuto esperienze selvagge e questo ha creato della letteratura ma gli indigeni venivano sempre visti un po’ da lontano. Il tempo è passato, e quando sono andato in Amazzonia negli anni 90 c’erano altre cose, indigeni che praticavano medicina, che operavano su occidentali e hanno cominciato veramente a farli entrare nello spazio e nel potenziale delle piante. Noi abbiamo un sacco di conoscenze nella nostra cultura occidentale, conoscenze scientifiche, tecnologiche, filosofiche, in Amazzonia hanno conoscenze profonde sulla coscienza e le connessioni con la natura, e questo è stato uno shock per me, quando sono andato là per la prima volta mi dicevo sì mi guideranno ma non sono dei filosofi… invece mi hanno svelato una metafisica diversa, una interfaccia.

Non ho ancora letto «Ayahuasca» che hai scritto con Demange…

Se prendi ayahuasca è un libro da leggere. Anche se ho fatto cerimonie per 25 anni ho imparato delle cose, Demange mi ha mostrato cose che sa solo uno sciamano.