La decisione del Primo Ministro inglese, Liz Truss, di non partecipare alla conferenza del Cairo sul clima (Cop 27) è passata inosservata, eppure segue quella di Glasgow con Johnson, copresidente con Draghi.

È la conferma plateale che dopo l’invasione dell’Ucraina la crisi climatica è passata in secondo piano, pur in presenza del progredire di alterazioni e impazzimenti devastanti. Nei fatti, con il dissolvimento di un assetto indispensabile di distensione e di accettata coesistenza tra regimi diversi, viene a compromettersi una consapevolezza faticosamente conquistata di quanto velocemente venga meno il tempo per curare il Pianeta.

La guerra ha impresso un’accelerazione verso il riarmo a discapito degli investimenti per la salvaguardia della biosfera. La responsabilità di Putin è, certo, nell’invasione dell’Ucraina, ma ancor più nell’avere animato un’attenzione spasmodica verso la vittoria o la sconfitta di uno dei blocchi belligeranti, accreditando le pulsioni di quanti ritengono che non ci sia spazio, diritto alla differenza e giustizia per tutti sul Pianeta.

Il punto di non ritorno si avvicina e rimbomba nel lancio incessante di missili, colpi di artiglieria, attacchi ai siti nucleari: Il “Doomsday clock” segna ormai 9 secondi alla mezzanotte, mentre il calcolo dei climalteranti dispersi dagli ordigni e dagli spostamenti di mezzi blindati dal 24 Febbraio corrisponde all’emissione di otto anni di CO2 dell’intera popolazione subsahariana. Oltre ad una immane devastazione dell’ambiente e della vita delle persone, il resto del mondo rileva l’arresto delle relazioni tra Stati che avrebbero dovuto combattere una battaglia comune.

La crisi energetica, che la guerra acutizza, ha immediate e enormi conseguenze sulle attività economiche e sull’inflazione di origine speculativa, divaricando ancora di più, sotto le spoglie di una lotta di potere, le differenze sociali e aumentando la povertà.

Le risposte politiche sono lontanissime dall’affrontare questi problemi. Addirittura, sul futuro pesa la minaccia della guerra nucleare: una eventualità ormai presa in considerazione nella strategia militare dei due blocchi belligeranti non più come pura minaccia deterrente.

Oltretutto, le grandi strutture di energia fossile e fissile sono arrivate a diventare “preda di guerra”. La centrale di Zaporizhzhia in Ucraina è stata oggetto di irresponsabili bombardamenti da entrambe le parti con un rischio perfino più grave di quello di Chernobyl e il passaggio dei suoi quattro reattori e del deposito di scorie esauste alla Russia espone ad atti di guerra dagli esiti incommensurabili. Il sabotaggio dei due metanodotti del Baltico tra la Russia e l’Europa, poi, ha costretto la Ue a nuovi e più cari approvvigionamenti fossili a discapito della conversione alle rinnovabili e all’efficienza.

Si sono accentuate misure transitorie per il gas, soggette alle speculazioni di mercato, che hanno esaltato l’effetto delle sanzioni con prezzi incontenibili, Il “110%” ha aiutato un poco il fotovoltaico, ma l’eolico continua ad essere al palo, in particolare quello off-shore, pronto per l’installazione, mentre i decreti attuativi per le comunità energetiche latitano.

I commissariamenti d’urgenza, come nel caso dell’acquisto di rigassificatori, prefigurano una lunga permanenza del gas sulle nostre coste e nelle nuove condotte delle dorsali montane, mentre le licenze di perforazione per i giacimenti fossili sono state disposte in silenzio, al pari del massimo impiego di carbone, che ha visto un aumento del 118 % di importazioni dalla Russia proprio da febbraio a settembre. Dopo la pandemia si torna impudentemente a prima.

È grave che il governo non abbia elaborato un piano energetico-ambientale per chiarire gli obiettivi strategici e le relative tappe in una fase così turbolenta e che continui a tenere in gioco strumentalmente il nucleare, pur sapendo che non potrà svolgere – per pericolosità e tempi di realizzazione – alcun ruolo in questa crisi. La qualità di investimenti pubblici fuori dal fossile, mobiliterebbe invece ingenti risorse mettendo in corsa una filiera manifatturiera che, con una consistente offerta di elettricità da fonti naturali, sosterrebbe l’occupazione.

Vedremo alla prova il nuovo governo. Ci sono voci minacciose e preoccupanti, ma il governo delle destre dovrà essere misurato sulle scelte. Si vedrà se continuerà a scegliere solo il sostegno alla guerra in Ucraina oppure vedrà la luce anche un’iniziativa di pace e se farà scelte di fondo per l’autonomia energetica nazionale da fonti naturali o continuerà ad inseguire le fonti fossili e il fantasma del nucleare.
Fin d’ora è indispensabile rompere ogni indugio e che nel Paese si sviluppi un movimento forte ed unitario per il clima e per far vincere il diritto della pace, uscendo da una fase attendista e da troppa rassegnazione.