Una conferenza Onu sulla tortura al Cairo, la capitale della tortura. Sembrerebbe una barzelletta di cattivo gusto e invece è ciò che accadrà il 4 e 5 settembre nella capitale egiziana. A organizzare l’evento è l’ufficio regionale dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani, in collaborazione con il Consiglio nazionale egiziano per i diritti umani, un’organizzazione governativa di fatto, oggi presieduta dall’ex ministro Mohammed Fayek.

Ad aprire i lavori insieme a lui saranno il ministro della Giustizia Hossam Abdelrahim e il ministro degli esteri Sameh Shukri. Un colpo grosso per la propaganda di al-Sisi, utile a ripulire la propria immagine internazionale.

La conferenza avrà come oggetto la «definizione e criminalizzazione della tortura nella legislazione dei paesi arabi» e ospiterà oltre 50 partecipanti da 19 Stati della regione. Tra questi, esponenti di governi e parlamenti e organizzazioni non governative. Neanche a dirlo, saranno assenti tutte le associazioni indipendenti egiziane che da sempre si occupano di tortura e di diritti umani, diventate ormai fuorilegge.

«È illogico che un paese in cui la tortura è sistematica ospiti una conferenza sulla tortura», ha dichiarato a Reuters Mohammed Zaree del Cairo Institute for Human Rights, che oggi ha sede a Tunisi. «È un tipo di evento piuttosto ordinario», la dichiarazione di Rupert Colville, portavoce dell’Alto commissariato, lo stesso che a febbraio aveva definito «endemica» la tortura in Egitto.

La tortura è proibita dalla costituzione egiziana, ma resta largamente praticata soprattutto contro gli oltre 60mila prigionieri politici. Un’organizzazione araba con sede in Gran Bretagna ha documentato che dal colpo di stato di luglio 2013 sono 762 i detenuti morti nelle carceri egiziane, in gran parte a causa di negligenza sanitaria.

Il regime in questi anni ha mirato sistematicamente a colpire chi si occupa di denunciare le violazioni e difenderne le vittime.

Il centro Nadeem per la riabilitazione delle vittime di violenza e tortura, premiato da Amnesty nel 2018, dal 1993 ha aiutato migliaia di persone ad affrontare i traumi fisici e psicologici della tortura, ma dal 2017 è costretto a operare in semi-clandestinità dopo che le autorità ne hanno chiuso la sede. Due giudici che nel 2015 avevano lavorato a una proposta di legge sulla tortura sono tuttora sotto processo.