Ancora 101 persone in fuga dall’inferno libico, “recuperate” dai libici ricorrendo questa volta ad una nave battente bandiera italiana, la Asso Ventotto.

Centouno persone, tra cui 5 bambini e 5 donne incinte (così recita il comunicato della Augusta Offshore, proprietaria della Asso Ventotto), che tentavano di raggiungere un luogo sicuro in Europa e che sono stati riportati nelle mani dei loro aguzzini.

Nel comunicato dell’azienda armatrice della nave si elencano i salvataggi effettuati dal 2012 ad oggi, comprese 15 operazioni nel 2018, per un totale di 262 operazioni e 23750 persone tratte in salvo.

Lunedì 30 luglio alle 15 però la Asso Ventotto, anziché operare un salvataggio sotto il coordinamento dell’Imrcc, come è successo negli ultimi 6 anni, riceve istruzioni dai libici, che si recano presso la piattaforma petrolifera a gestire l’operazione.

Poiché la guardia costiera italiana dichiara alla stampa di aver ricevuto una chiamata dal barcone in difficoltà con le 101 persone a bordo, se ne ricava che l’Italia chiama e la Libia, o meglio la guardia costiera finanziata e sostenuta dall’Italia, risponde. Facendo il lavoro sporco in modo da evitare all’Italia l’intervento della magistratura ordinaria e internazionale.

Questa operazione infatti non ha le caratteristiche di un salvataggio quanto di un vero e proprio respingimento collettivo, la cui responsabilità è da attribuire direttamente al nostro governo.

Come a maggio del 2009, per il caso Hirsi, che ha comportato la condanna dell’Italia (sentenza Cedu del 23 febbraio 2012), oggi ci sono tutti gli elementi per una nuova condanna dalla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo.

L’operazione condotta dalla Asso ventotto infatti viola la Convenzione di Ginevra (ex artt.3 e 33) e l’art.4 del Quarto Protocollo aggiuntivo alla Cedu.

Non è stato rispettato il divieto di respingimento, nonché di respingimento collettivo, verso un Paese dove le persone sono a rischio (più che un rischio, una certezza) di trattamenti disumani e degradanti, di vere e proprie torture.

C’è da chiarire, e lo dovrebbe fare sia il Governo in sede parlamentare che la magistratura, per le tante violazioni di legge possibili, quale ruolo ha svolto l’Mrcc italiano (Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo) in questa operazione.

Chi ha indirizzato alla guardia costiera libica la nave italiana?

Quello che è successo davanti agli occhi del mondo, sotto la responsabilità italiana, è un fatto gravissimo che rappresenta un’ulteriore spinta verso quella esternalizzazione delle frontiere europee, di cui l’Italia è fautrice e per la quale siamo disposti a sacrificare i diritti umani, la vita delle persone, le leggi internazionali e i principi della nostra democrazia.

Oggi queste 101 persone, comprese le donne incinte e i bambini, sono già rinchiuse in un centro di detenzione gestito dalla polizia libica. Probabilmente proprio a Tripoli. Uno di quei centri dove non c’è posto neanche per sedersi e si dorme in piedi. Trattamenti disumani e degradanti appunto. Ad opera degli stessi gruppi che controllano il territorio, sfruttano l’immigrazione per fare affari, ricorrendo a torture e violenze, con il sostegno e il finanziamento dell’Italia e dell’Ue.

Le istituzioni italiane ed europee, le Nazioni Unite, a partire dall’Unhcr, agiscano con urgenza per evitare che il diritto internazionale e il diritto d’asilo vengano cancellati.

Non è più tempo di mediazioni perché ciò che si compie davanti ai nostri occhi è un crimine contro l’umanità.