Non fate analisi a caldo, per impulso, ci è stato detto. Due settimane sono un distacco sufficiente per elaborare un’idea. Non il lutto ma un’idea di quel che è successo e di quel che vorremmo che accadesse da qui in avanti.

Non ce la caviamo con piccoli correttivi. Né con un maquillage.

Il 4 marzo si è toccato il punto più basso della lunga parabola storica della sinistra italiana, di tutte le sue culture politiche e organizzazioni.

Non si salvano i riformisti e non si salvano i radicali.

Mai un risultato così negativo, mai un distacco così clamoroso dai sentimenti, dalla cultura, dai bisogni, dalla vita materiale e dunque dal consenso di un popolo e di un Paese che non ci riconoscono, che guardano altrove.

Guai a noi se non guardassimo negli occhi il significato del risultato del M5S, che strappa consensi trasversali e accende speranze tra le fasce più deboli e i settori popolari del nostro Paese. Se non guardassimo negli occhi persino il boom della Lega, partito di massa nel Nord e destra nazionale nel resto del Paese.

Dovremmo confrontarci a lungo – lo dovremo fare, in maniera spietata e sincera, coinvolgendo intellettuali, militanti, corpi intermedi – sulla fine di un’epoca, di un secolo, di un mondo.

La sinistra è oggi travolta dal cambiamento di epoca e rischia di rimanere inerme di fronte al nuovo bipolarismo tra destre e 5 Stelle.

È anche per questo che è folle pensare di aprire (sulla base di quale rilevanza politica, sociale e parlamentare, tra l’altro?) a M5S per la formazione di un governo, ipotesi che sancirebbe la nostra definitiva subalternità al quadro dato.

Oltre all’analisi però abbiamo il dovere della proposta. Della proposta e dell’organizzazione.

In primis: il nuovo bipolarismo tra destra e populisti non si sconfigge chiudendosi nell’illusione del quarto polo e dell’autosufficienza, nel proprio fortino. Un fortino piccolissimo, fragile, già assediato.

Occorre guardare lontano, assumersi sulle spalle la sfida titanica di ridisegnare tutto. In Italia e per l’Europa che verrà. Di costruire lo spazio democratico e progressista in forme nuove. Ciò che servirebbe – in forme inedite, tutte da inventare – è un nuovo soggetto laburista, europeo, moderno, popolare, radicale, con una vocazione naturale al governo.

Una grande casa della sinistra italiana, che superi e accolga tutte le debolezze e tutte le fragilità che oggi sono in campo, nessuna esclusa.

Con pratiche, forme, categorie, parole da reinventare o da reinsediare daccapo nelle pieghe della società reale.

Il Partito democratico si ritrae da questa sfida? Rimane vittima della sindrome renziana (e già veltroniana, a dire il vero) dell’autosufficienza? Andremo avanti da soli, costruendo il partito della sinistra e del lavoro e dando al milione di voti di Liberi e Uguali l’unico sbocco possibile e utile, ma dichiarando da subito che l’orizzonte che ci interessa è quello e non è la testimonianza.

In secondo luogo, infine: le sconfitte portano con sé come corollario inevitabile la necessità di voltare pagina. Il che si traduce in un’assunzione di responsabilità da parte dei gruppi dirigenti.

Qui si colloca il bisogno inderogabile di ripartire con energie nuove, più credibili, non percepite o percepibili come corresponsabili di infiniti errori, di un numero infinito di battaglie perse.

Parliamo della lista e del nostro movimento, Mdp. Assumersi soggettivamente la responsabilità della sconfitta e non andare avanti come se niente fosse è indispensabile. Così come lo è riconsegnare il prima possibile la sovranità agli iscritti, ai militanti, agli elettori che ci hanno dato fiducia.

Urge un processo democratico di confronto e partecipazione tra di noi, vero, senza rete, che non si traduca né nell’assemblearismo a-democratico che abbiamo vissuto nell’ultimo anno né nel verticismo oligarchico che abbiamo sperimentato negli ultimi mesi.

Un processo democratico che proponga un nuovo gruppo dirigente e che lanci la parola d’ordine della costruzione di un nuovo soggetto della sinistra.

Possiamo rimetterci in cammino. Ma non possiamo più permetterci di sbagliare passo e direzione.