La Libia continua a essere «un caos» dove infuriano le milizie jihadiste e dove l’Isis, cacciato da Sirte, ha ancora circa 500 combattenti e sta cercando di riorganizzarsi «nella valli desertiche e tra le colline rocciose a est della capitale Tripoli» con un avamposto, una roccaforte, mentre il tentativo di mettere in piedi un governo di accordo nazionale sponsorizzato dalla comunità internazionale nel 2015 deve ormai considerarsi fallito.

Giudizio lapidario, questo, che si trova scritto nero su bianco sull’ultimo numero del settimanale britannico The Economist, all’indomani dell’attentao di Manchester e dell’arresto proprio a Tripoli del fratello minore e del padre dell’attentatore suicida, Salman Abedi, sospettato di aver aderito all’Isis. Non si può dargli frettolosamente torto alla luce dei nuovi sanguinosi scontri – con oltre cinquanta morti, anche civili – che nei due giorni passati hanno visto come teatro proprio il quartiere di Abu Salim a Tripoli che confina con quelle colline rocciose e valli desertiche.

NEL QUARTIERE TRIPOLINO di Abu Salim gli abitanti ieri si sono svegliati – raccontano i media locali – con i rumori sordi degli obici sparati dai carri armati e dei colpi dei fucili mitragliatori dell’assedio al carcere di massima sicurezza, tristemente noto durante la dittatura, nel quale erano fino a ieri rinchiusi il terzo figlio di Muammar Gheddafi, il «calciatore» Saadi – noto per aver giocato una sola partita, contro la Juventus, di cui per altro era tifoso e socio e per il resto interessato soprattutto a movimenti di calcio-mercato, dal Perugia all’Udinese fino alla Sampdoria – e con lui l’ex capo dei servizi segreti del Colonnello, il famigerato Abdallah Senoussi.

I due prigionieri eccellenti, secondo quanto ha dichiarato il ministero della Difesa del governo Serraj, sarebbero stati alla fine tradotti in «un luogo sicuro». Mentre nella guerra per le strade, inclusa l’autostrada in direzione dell’aeroporto, il bilancio di due giorni di combattimenti è stato di 52 morti, in gran parte appartenenti alla brigata fedele al governo Serraj di stanza nel quartiere di Abu Salim, assalita, a quanto pare, dalle milizie dell’ex premier Khalifa Ghwell, spodestato da Serraj e non nuovo a colpi di mano militari – l’ultimo nell’ottobre scorso – e scontri con le milizie fedeli al nuovo governo per mostrare chi ancora controlla davvero la capitale.

DEI GHEDDAFI, dopo anni di silenzio, si è tornato a parlare proprio pochi giorni fa quando sul Times di Londra è apparsa una intervista scritta dal Cairo a Ahmed Gheddafi al Dam, cugino del Colonello, che ha avuto molta eco in Libia. Il cugino Gheddafi sosteneva – facendo seguire una smentita a mezza, ieri – che la vedova del Colonnello e alcuni dei figli che vivono con lei nel dorato esilio in Oman, quindi anche l’unica figlia Aysha – ormai appoggiano il generale ribelle Khalifa Haftar che, appoggiato da Egitto e Russia, si è contrapposto a Serraj proponendosi come il nuovo uomo forte del paese.

HAFTAR è uno dei militari che ha contribuito alla salita al potere del Colonnello Gheddafi nel 1969 e è stato il suo braccio destro fino alla cattura durante la guerra in Ciad, la liberazione ad opera degli americani e il suo esilio negli Usa fino alla rivoluzione del 2011. Adesso il generale della Cirenaica è ancora alle prese con la città ribelle di Derna, dove non riesce da mesi e mesi ad avere ragione dei miliziani legati ad Al Qaeda. Venerdì scorso, primo giorno di Ramadan, l’Egitto ha bombardato Derna dove, secondo quanto a spiegato al telefono il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shukri al Segretario di Stato Usa Rex Tillerson, si nasconderebbero gli autori dalla strage di cristiani copti – 35 morti -l sud dell’Egitto, il giorno prima.