Veronica Gago è fra le organizzatrici del movimento argentino Ni una menos, che dopo alcuni femminicidi particolarmente efferati, ha lanciato la consegna: “Se le nostre vite non valgono, allora ci fermiamo”.

 

Veronica-Gago-foto-Florencia-Trincheri
 

Come sarà il vostro 8 marzo?
Sarà una giornata storica, si riempiranno le strade, segnando una nuova svolta in un ciclo di lotta che per noi ha avuto un vertice con lo sciopero delle donne del 19 ottobre 2016. Siamo arrivate a oggi dopo aver tessuto una densa trama di alleanze, conversazioni, domande e narrazioni con i movimenti di base, i sindacati e le organizzazioni culturali, educative, migranti e artiste. Abbiamo ampliato e rideterminato gli strumenti dello sciopero per includere le eterogenee realtà del lavoro formale, informale, domestico e riproduttivo, e le traiettorie itineranti tra le economie popolari, la disoccupazione e le distinte forme di precarietà, legando le nuove forme di sfruttamento con la dinamica delle violenze machiste. Questo ci ha permesso di uscire da quel “ghetto” del discorso di genere che vuole confinarci solo a parlare di femminicidi e relegare le donne nel ruolo di vittime. Sta emergendo un femminismo popolare, di massa, che si appropria delle strade, che converte il lutto in forza. E’ una novità: a differenza di altri importanti momenti di lotta, ora la dimensione femminista è una chiave esplicita del protagonismo delle donne.

E in America latina?
Lo sciopero si farà in moltissimi paesi dell’America latina. Ci consente di connettere lotte e temi molto diversi: dai conflitti con le transnazionali neoestrattiviste a quelli per la casa, dalla invisibilizzazione del lavoro di cura alla femminilizzazione della povertà. E’ anche questa trasversalità latinoamericana che mette in gioco dibattiti fondamentali su un femminismo non liberale né moderato e che si riconosce come popolare e comunitario. Ed è questo movimento femminista che si assume come soggetto politico a denunciare le violenze contro le donne come una nuova forma di contro-insurrezione necessaria per acuire le attuali e molteplici forme di sfruttamento e di rapina. Lo sciopero si declina in molte lingue e permette di abbordare problematiche distinte. In Colombia, per esempio, c’è un intenso dibattito su quanto abbia pesato la campagna sulla “minaccia femminista” nel trionfo del “no” al referendum sugli accordi di pace. In Honduras e Guatemala si afferma fortemente la protesta contro i femminicidi delle leader comunitarie nei territori. In Brasile, le rivendicazioni mettono in rilievo l’avanzata delle chiese contro le lotte per l’autonomia del corpo delle donne. Lo sciopero tracima e integra la questione del lavoro. Non la lascia fuori però allo stesso tempo la ridefinisce e la attualizza. La moltiplica senza diminuire la sua intensità storica.

Quali sono i dati della violenza contro le donne e qual è il vostro piano? In Italia la proposta è quella di stendere un Piano femminista nazionale contro la violenza di genere, scevro la logiche securitarie: perché – dice il movimento – chiedere l’ergastolo non risolve i problemi strutturali
I femminicidi sono aumentati negli ultimi anni. Nel 2017, un picco con 57 femminicidi nei primi 43 giorni dell’anno. Una escalation anche nelle forme di crudeltà. Nell’incremento dei femminicidi, nell’accanimento, c’è la volontà di stroncare con più violenza ogni gesto di autonomia e di rivolta delle donne. Lo leggiamo in questa chiave: c’è una guerra contro le donne che è una risposta reattiva all’affermazione della nostra autonomia: perché stiamo dicendo basta, perché stiamo affermando un altro desiderio, perché stiamo costruendo una nuova forma di potere. C’è un intento – che ha a che vedere con il discorso della vittimizzazione di cui parlavo prima – di costruire una uscita “punitiva” al problema del femminicidio, in chiave securitaria. Il movimento delle donne sta pensando in altri termini: chiama in causa la responsabilità dello Stato, ma indica anche le forme di sfruttamento e di precariato continuo che oggi esplodono come violenza all’interno delle famiglie e dei quartieri e che si servono di circuiti di economie illegali per regolare in modo para-statale questa violenza.

Il tema dell’aborto libero e gratuito è da anni una battaglia delle femministe in Argentina
Si tratta di un tema chiave nell’agenda del movimento. In Argentina c’è una Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito che è attiva da decenni e che pone questo diritto come un debito della democrazia (ovvero, del periodo seguito alla dittatura degli anni ’70). Al contempo, ci sono molte organizzazioni che organizzano reti di appoggio e risorse per quelle che vogliono abortire. In America latina, 6 paesi proibiscono totalmente l’interruzione di gravidanza. E, come sappiamo, questo è un punto di discussione chiave con la chiesa. E’ necessario ammettere che durante il ciclo dei cosiddetti governi progressisti, non c’è stato nessun progresso.

Che rapporto ha il nuovo femminismo con le lotte del secolo scorso, con il marxismo e con il femminismo novecentesco?
Questo momento di effervescenza e reinvenzione del femminismo ha le sue letture degli antecedenti e delle genealogie. In Argentina c’è un riferimento molto forte alle Madri di Plaza de Mayo, e anche alle donne piqueteras, che scesero in strada per sostenere la vita dei quartieri nei momenti più duri della crisi, e allo spazio pedagogico costituito da 31 anni dall’Incontro nazionale delle donne. Però, a causa dello stesso sentimento trasversale e regionale, ora sono presenti riferimenti alle donne che vengono perseguitate e represse nei conflitti transnazionali: in particolare la figura di Berta Caceres, assassinata in Honduras un anno fa. Come ti dicevo prima, la questione di genere è uscita dal chiuso dell’accademia e dei circuiti liberali per arrischiarsi nei territori e diventare una chiave di comprensione che prima non aveva tanta forza né pregnanza. Con la questione dello sciopero, direi che si è fatto un esercizio pratico di lettura in chiave femminista del mondo del lavoro, attualizzando l’analisi della composizione dei soggetti che oggi producono – produciamo – valore.
In Italia si è discusso intorno a 8 tavoli tematici: dal lavoro al femminismo migrante, dal sessismo nei movimenti al campo giuridico, alla formazione, alla libera sessualità. E da voi?
Qui abbiamo costruito in un elaborato processo di assemblea un documento di rivendicazioni comuni, articolato come da voi in 8 assi tematici: la nostra genealogia come movimento, la questione del lavoro, il diritto all’aborto, le dissidenze sessuali e di genere, le violenze, la responsabilità dello stato, l’esigenza di uno stato laico e la costruzione di un movimento come soggetto politico. All’interno di ogni asse c’è una molteplicità di domande e questioni. E’ la prima volta che si ottiene quel che prima si chiamava documento unitario in un’assemblea con oltre 60 organizzazioni differenti. La dimensione internazionale dello sciopero è un elemento fondamentale perché si percepisce come una grande sfida la portata e la complessità che stanno prendendo le lotte del movimento delle donne

Quali sono le attività previste per l’8 marzo?

Lo  sciopero comincia dalle 12, con un “ruidazo”. Diversi sindacati hanno convocato e aderito alla sospensione delle attività e qualcuno lo fa con scioperi attivi, assemblee. Alle 17 c’è una mobilitazione in Plaza de Mayo. Però ovviamente ci saranno altre mobilitazioni nelle principali città del paese.

Come vede la situazione politica in Argentina e nel continente?
Sta aumentando velocemente l’inflazione e la disoccupazione, ci sono stati aumenti delle tariffe in tutti i servizi pubblici (il “tarifazo”), e c’è una virata conservatrice neoliberista nella maggioranza delle politiche pubbliche. Mauricio Macri, il presidente eletto alla fine del 2015, rappresenta il potere dei gruppi finanziari transnazionali e dei proprietari terrieri. Tuttavia, non dobbiamo tacere che la maggioranza delle misure antipopolari (per esempio: il pagamento ai fondi avvoltoio e l’eliminazione delle tasse al settore agro-esportatore e minerario) conta anche sull’appoggio di alcuni deputati del partito del precedente governo (FpV- Frente para la Victoria), che sono parte fondamentale, insieme ai governatori e agli amministratori dello stesso orientamento, nel sostegno alla governabilità attuale. E’ evidente che c’è un cambiamento nel ciclo dei governi latinoamericani a favore di un blocco politico conservatore, di tipo impresariale-securitario, però è necessario ripensare in modo più critico i limiti dei governi cosiddetti progressisti per intendere le loro debolezze, le sconfitte e la forma che assume lo scenario politico attuale. In particolare, citerei due questioni: la precarietà dei dispositivi di inclusione sociale messi in campo da quei governi e le forme nelle quali la retorica neosviluppista si è amalgamata alla persistenza della condizione neoliberista producendo un tipo di inserimento neo-estrattivista nel mercato mondiale e nel rilancio dell’accumulazione capitalista a partire dall’egemonia della finanza.

E il caso della deputata indigena Milagro Sala? Il movimento chiede la sua liberazione?
La protesta contro la detenzione ingiusta di Milagro Sala e altre quattro donne della stessa organizzazione è un punto presente in questo 8 marzo. Consideriamo la sua situazione come parte di un attacco misogeno e razzista prodotto dai poteri politici e giudiziari locali.