Non è certo comune essere rappresentati in una scultura mentre si è ancora in vita, e d’altronde ben poco di ordinario hanno le vite di Edward Snowden, Julian Assange e Chelsea Manning, le tre personalità che svettano sulle sedie dell’opera “Anything to say?” realizzata dall’artista Davide Dormino. La scultura, in bronzo nero, è composta di quattro sedie, su tre delle quali poggiano i piedi i whistleblower più importanti del nostro tempo. La quarta è lasciata volontariamente vuota come incoraggiamento per coloro che in futuro avranno il coraggio di salirci su, per rivelare con la schiena diritta verità scomode.

La scultura, il cui titolo completo è “A monument to courage”, è anche un presa di posizione politica a sostegno delle persone che in seguito alla diffusione di informazioni segrete di interesse pubblico oggi vengono perseguitate dagli apparati statali di vari paesi, quando non già recluse.

La caratteristica principale della composizione, ideata dal giornalista Charles Glass e realizzata da Dormino, è quella di essere itinerante. Inaugurata il 1 maggio del 2015 nella berlinese Alexander Platz, ha continuato ad apparire in diverse piazze e strade del mondo, accompagnata da dibattiti e performance che hanno messo al centro il tema della libertà di stampa e la necessità di tutelare chi denuncia, rendendo visibili le distorsioni del potere.

Allo stato attuale le tre personalità raffigurate nel gruppo scultoreo subiscono tutte un feroce attacco alla propria libertà personale. Snowden, ex agente a contratto con la Nsa, è noto in tutto il mondo per aver diffuso documenti segreti sui programmi di sorveglianza digitale di massa del governo americano e britannico. Oggi vive in Russia, dove ha ricevuto asilo politico. Julian Assange, giornalista e programmatore australiano, ha fondato Wikileaks, il sito che ha reso pubblici una quantità di documenti riservati e segreti di diversi stati (incluse le email di Hillary Clinton nell’ultima campagna presidenziale), si trova in carcere in Gran Bretagna, in condizioni di salute preoccupanti. Chelsea Manning, ex soldato dell’esercito americano, è nota per aver diffuso nel 2010 documenti riservati che certificavano i gravi abusi dei diritti umani commessi dagli Usa in Iraq e in Afghanistan. E’ stata in carcere per oltre sette anni, poi graziata da Obama alla fine del suo mandato, oggi seppur a piede libero è di nuovo indagata per essersi rifiutata di testimoniare contro Wikileaks.

Con questo contesto, a Spoleto negli spazi del FuoriFestival in occasione della 62° edizione del Festival dei due Mondi, intorno alla statua “Anything to Say?” si è svolto un dibattito nel quale sono intervenute figure importanti del panorama giornalistico italiano. Dall’evento è emersa la necessità, oggi più stringente che mai, di stagliarsi in difesa del giornalismo indipendente e delle sue fonti. Era presente tra gli invitati anche il direttore editoriale del manifesto Matteo Bartocci. Il manifesto negli ultimi mesi ha subito un duro attacco dal governo che ha disposto il taglio del fondo per il pluralismo, una misura che rischia di mettere a rischio l’esistenza di un quotidiano politico eretico e libero, sganciato dalle influenze partitiche e di potere.

“Qualunque cosa si pensi del lavoro giornalistico di Assange se un cittadino australiano potrà essere estradato in un paese diverso da quello d’origine, paese nel quale non ha mai messo piede, e giudicato secondo leggi diverse dal suo paese natìo, si creerà un precedente critico e pericoloso per i giornalisti e i cittadini di tutto il mondo.” ha detto Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta di Repubblica, che per prima ha fatto da ponte tra le rivelazioni di Wikileaks e la stampa italiana.

Tra gli interventi anche quello di Alberto Spampinato, direttore di “Ossigeno per l’informazione”, un osservatorio che monitora le intimidazioni rivolte a giornalisti e cronisti, e Roberto Natale, ex presidente della FNSI.

D’altronde la libertà di informazione nelle sue varie forme è oggi a rischio non solo nei regimi autoritari ma anche in quelle che fino a poco fa venivano chiamate le democrazie liberali. Le pulsioni sovraniste e populiste, che hanno portato a governi sempre più decisionisti e autoritari, stanno minando il pluralismo dell’informazione e l’agibilità dei giornalisti.

Nella classifica di Reporters Sans Frontieres del 2019 che analizza i dati di 179 paesi, l’Italia si colloca al 43ismo posto. Lo scorso febbraio il gruppo di inchiesta del Consiglio di Europa ha dichiarato la sua preoccupazione per il peggioramento delle condizioni dell’informazione nel nostro paese, in particolare per quanto riguarda la protezione dei giornalisti indipendenti da eventuali ritorsioni politiche e i tagli del governo ai fondi pubblici per il pluralismo.