È stato licenziato in questi giorni dalle Commissioni competenti di Camera e Senato il decreto delegato di riordino dei servizi pubblici locali, che dovrebbe applicare quanto approvato dal Disegno di Legge sulla Concorrenza e il Mercato 2021. Il decreto delegato torna in Consiglio dei Ministri e prima della fine dell’anno verrà approvato definitivamente. Per la gioia del premier Meloni (vuol farsi chiamare al maschile) che potrà andare all’Unione Europea con un altro compito a casa fatto.

Non saranno altrettanto contente le comunità territoriali, per le quali si prospetta un rilancio delle privatizzazioni dei servizi pubblici locali, in diretto contrasto con quanto approvato dal Parlamento, quando ai tentativi dell’allora governo Draghi si era opposta una campagna di mobilitazione dal basso che era riuscita a far fare a Supermario una clamorosa ritirata.

Nonostante questo esito, l’ultimo atto del governo Draghi è stato quello di produrre un decreto delegato che ha letteralmente stravolto la norma, rimettendo in campo l’obbligo per i Comuni di motivare la mancata scelta del mercato sulla gestione dei servizi pubblici locali, la supervisione autoritaria di un organo governativo -l’Osservatorio sui Servizi Pubblici- sulle delibere dei Comuni in merito alla gestione dei propri servizi locali, il divieto di far gestire i servizi a rete ad aziende speciali, la durata non superiore a cinque anni per le gestioni in house dei servizi non a rete.

Tutti vincoli bocciati dal Parlamento, tutti vincoli reintrodotti dal governo Draghi e confermati dal governo Meloni. Siamo nel pieno dell’illegittimità -nessun decreto delegato può debordare da quanto scritto nella legge delega- e occorre ora spingere perché si arrivi all’impugnazione e al rinvio alla Corte Costituzionale. Ma sono soprattutto le comunità territoriali che dovranno ribellarsi a questo ennesimo esproprio di beni comuni e diritti fatto in nome di una società basata sul profitto, che, tra crisi finanziaria, pandemia, crisi climatica ed emergenza sociale, ha dimostrato da tempo la propria insostenibilità.

C’è una nuova possibilità: partirà nella seconda metà di gennaio la campagna “Riprendiamoci il Comune”, costruita da un insieme molto ampio di realtà associative, reti di movimento, organizzazioni sociali nazionali e da un altrettanto vasto insieme di comitati territoriali (per saperne di più).

La campagna “Riprendiamoci il Comune”propone due leggi d’iniziativa popolare: la prima per la riforma della finanza dei Comuni -fuori dall’ossessione della stabilità dei conti e dentro l’orizzonte di un nuovo modello ecologico, sociale e relazionale; la seconda per la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), ovvero per mettere a disposizione dei Comuni le enormi risorse -280 miliardi- dei risparmi affidati a Cdp.

Entrambe le proposte mettono in campo la partecipazione diretta delle comunità territoriali alle scelte fondamentali che le riguardano e mettono fine alla stagione compulsiva delle privatizzazioni. È una campagna che si rivolge alle persone, ma anche alle lavoratrici e ai lavoratori del pubblico, il cui ruolo deve tornare ad essere fondamentale; e che chiede alle amministratrici e agli amministratori di rimettere al centro della loro azione la funziona pubblica e sociale del proprio ruolo.

Di fronte a chi – governi, privati e grandi interessi finanziari- considera le comunità territoriali come luoghi da predare e da cui estrarre valore, occorre decisamente invertire la rotta e riappropriarci di quello che a tutte e tutti da sempre appartiene.