Dopo giorni di relativa “calma”, la situazione in Libia è tornata a farsi incandescente. A rompere il fragile equilibrio è stato il misterioso raid che sabato mattina ha colpito e distrutto i sistemi turchi di difesa aerea «Hawk» e di disturbo elettronico «Koral» nella base di al-Watiya (130 km a ovest di Tripoli), controllata dalle forze alleate del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli del premier al-Sarraj.

NON È ANCORA CHIARA l’origine dei velivoli che hanno sferrato l’attacco. In questi giorni si sono fatte le più svariate ipotesi: dai caccia dell’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar (nemico giurato di Tripoli) a quelli dei suoi alleati egiziani ed emiratini (quest’ultimi, sembrerebbero essere i responsabili più credibili). C’è chi, come il portale libico Libya Akhbar, ha chiamato in causa la Francia alleata di Haftar e che già in passato ha compiuto interventi militari in Libia.
L’ipotesi francese si inserirebbe nel clima di forte tensione delle ultime settimane tra Parigi e Ankara, alleati sì Nato ma quanto mai rivali nel dossier libico e nel più ampio contesto mediterraneo. Uno scontro concretizzatosi con la recente decisione dell’Eliseo di ritirarsi «temporaneamente» dalla Missione Nato «Sea Guardian» a seguito di un’incidente avvenuto e metà giugno nel Mediterraneo tra la Marina turca e quella francese.

Se ignoto è finora il responsabile del raid, è chiaro però il destinatario: la Turchia. L’attacco di sabato è giunto infatti a poche ore di distanza dalla visita ufficiale a Tripoli del ministro della difesa turco Akar e del capo di stato maggiore Guler. Una visita in cui ancora una volta Ankara ha ostentato con sicumera la sua voglia di dirigere la fase attuale libica, ma soprattutto quella post-conflitto. La Turchia del “Sultano” Erdogan ha già infatti dichiarato pubblicamente asset turchi proprio la base di al-Watiya e una vicino a Misurata e ha già promesso alle compagnie turche ricchi affari nella ricostruzione sia nel campo edilizio che in quello energetico. Senza poi dimenticare la partita di idrocarburi, assicurata grazie al memorandum marittimo siglato a novembre tra Tripoli e Ankara.
«Daremo una risposta adeguata al raid degli aerei nemici stranieri che sostengono il criminale di guerra (Haftar, ndr)», ha detto Tripoli dopo il raid di al-Watiya.

Ankara ha invece alzato il tiro, designando la base aerea di al-Jufra e la città strategica di Sirte (a metà strada tra Bengasi e Tripoli) come «nuovo obiettivo militare». Scelta foriera di conseguenze: proprio al-Jufra e Sirte sono state infatti considerate a giugno dal presidente egiziano al-Sisi «linee rosse» la cui violazione potrebbe condurre il Cairo a intervenire militarmente in Libia.

I PRIMI INQUIETANTI SEGNALI delle minacce tripoline-turche sono stati forse registrati ieri quando una forte esplosione si è avvertita nel villaggio di Sukna, nei pressi di al-Jufra. A provocarla, riferiscono alcune fonti, sarebbero stati alcuni droni turchi che avrebbero preso di mira (e distrutto) il sistema di difesa russo Pantsir e ucciso 3 mercenari del gruppo russo Wagner. Se confermato, l’attacco di ritorsione potrebbe avere immediati riflessi anche a Sirte dove potrebbero tornare gli scontri. Ankara e Tripoli hanno più volte ribadito che torneranno ai negoziati con l’Enl (non però con Haftar) soltanto dopo aver preso questi due “obiettivi”.
Tuttavia, dopo settimane di “calma”, il raid di al-Watiya di sabato ha fatto saltare gli equilibri pur fragili che si registravano sul terreno, riaprendo il vaso di Pandora libico da cui può uscire solo altra morte e distruzione.