Il groviglio politico-giudiziario attorno Donald Trump si è fatto ancora più inestricabile negli ultimi giorni, con sentenze contraddittorie delle corti supreme del Maine e del Michigan sulla possibilità di squalificarlo dalla competizione presidenziale del 2024, le cui primarie cominceranno già in gennaio. La confusione nasce dal fatto che un emendamento della Costituzione approvato dopo la guerra di secessione, il 14 esimo, contiene una clausola che impedisce a chi si renda responsabile di una «insurrezione» contro il governo di ricoprire successivamente qualsiasi carica pubblica. L’emendamento era stato ovviamente pensato per gli ex politici e generali sudisti, trattati generosamente dopo l’assassinio di Lincoln, ma non era mai stato applicato da allora. Oggi la domanda è: il 6 gennaio 2021 Trump, incitando i suoi sostenitori a marciare sul Congresso, si è reso responsabile di un’insurrezione?

LA RISPOSTA, in Colorado e in Maine, è stata positiva, in Michigan negativa, ora la questione è nelle mani della Corte suprema federale, peraltro imbottita di giudici trumpiani. Quindi sapremo solo fra qualche settimana se Trump potrà effettivamente scavalcare anche questo ostacolo e diventare nuovamente il candidato repubblicano alla presidenza nelle elezioni che si terranno il 5 novembre 2024. Gli altri inciampi sul suo cammino sono ovviamente i quattro processi contro di lui per un impressionante catalogo di reati, tutti più o meno legati al tentativo fallito di restare al potere dopo aver perso le elezioni del 2020.

A questo punto è logico chiedersi come sia possibile che un politico rinviato a giudizio per ben 91 reati possa ancora essere in corsa per la Casa bianca. La risposta sta nel fatto che Trump fu eletto alla presidenza nel 2016 in parte perché il pubblico odiava i suoi avversari più di lui, in particolare la candidata democratica Hillary Clinton. Nella settimana delle elezioni del 2020, l’indice di gradimento di Trump era vicino al suo massimo storico, sfiorando il 45%, non a caso Biden vinse per una manciata di voti in quattro stati-chiave: Arizona, Georgia, Wisconsin e Pennsylvania.
Il frenetico periodo di complotti tra la notte delle elezioni e il violento assalto del 6 gennaio, lo avevano fatto scendere al 33% dei consensi, molti dei sostenitori più fedeli lo avevano abbandonato e Trump sembrava un uomo che non solo aveva perso le elezioni, ma anche la testa. Sembrava inconcepibile che potesse tornare a essere un politico credibile. E invece…

PER QUANTO possa sembrare bizzarro, in questi tre anni Donald Trump ha riguadagnato quasi tutto il capitale politico che aveva perso nel gennaio 2021: nei sondaggi è tornato al di sopra di dov’era nel novembre 2020, al 46% dei consensi, con una tendenza al rialzo. Nei consensi dei soli elettori repubblicani ha un vantaggio di 50 punti sui rivali per la nomination, nel complesso dell’elettorato appare in vantaggio 46% contro 44% su Joe Biden.

Le accuse contro Trump finora non hanno affatto aiutato Biden dal punto di vista politico e, al contrario, hanno consolidato il consenso tra i repubblicani, che stanno abilmente sfruttando le preoccupazioni degli americani sulla criminalità, l’immigrazione e, soprattutto, l’inflazione. A questo si aggiungono i dubbi suscitati dall’età di Biden e la mediocrità della sua vice Kamala Harris.
Ma esistono anche ragioni più profonde che giocano a favore dell’aspirante dittatore, prima di tutto le fratture all’interno della coalizione democratica che aveva eletto Biden nel 2016: per la prima volta nella storia recente delle elezioni americane, nei sondaggi i giovani sembrano preferire un candidato repubblicano a quello democratico. Trump in questo momento supera Biden 49% a 43% nelle intenzioni di voto degli elettori fra i 18 e i 29 anni a causa della rabbia per il sostegno incondizionato di Biden a Israele, malgrado le mezze frasi sui bombardamenti «eccessivi» o sulla necessità di una tregua. È una rottura radicale e i giovani, più ancora delle donne, sono la spina dorsale dell’elettorato democratico: se il loro voto viene a mancare la vittoria dei repubblicani, chiunque sia il loro candidato, è assicurata.

NELLA POLITICA americana tutto può cambiare in ventiquattro ore, figuriamoci in dieci mesi abbondanti, però le previsioni che si possono fare oggi sono cupe: la Corte suprema può salvare Trump dai suoi guai giudiziari (senza contare che una giuria potrebbe benissimo assolverlo). Il mercato del lavoro va bene ma l’inflazione continua a pesare sulle tasche delle famiglie. I democratici non sembrano avere idee brillanti e, boccone amaro supplementare, quasi certamente perderanno il controllo del Senato, mentre quello della Camera si giocherà sul filo di poche centinaia di voti.