Basket, hockey, football, più invece tiepido il baseball, che resta quello preferito dai bianchi e che vota Rep. Lo sport americano sta accompagnando le proteste per le strade, nei cortei pubblici.

Tra atleti che prendono la parola, esposti in prima persona, come Lebron James, o come l’ex pugile Floyd Mayweather jr. che ha messo a disposizione quasi 90 mila dollari per i funerali di George Floyd, il wrestler e attore The Rock (Dwayne Johnson) e la stella della Nba Carmelo Anthony, che accusano Trump di intolleranza verso le minoranze.

Oppure altre stelle, come il tedesco Dirk Nowitzki, che a Dallas (dove ha giocato per oltre un decennio) è sceso in strada con la scopa per una ripulita dopo una manifestazione pacifica nella città texana. E nella condivisione collettiva del sostegno social a #BlackLivesMatter è arrivato il clic anche dai Washington Redskins, una delle squadre più famose e ricche della lega del football americano, la Nfl. Un endorsement che ha scatenato l’ira di Alexandria Ocasio-Cortez, 31enne deputata di parte dem, famosa anche per la campagna razzista subita via tweet del presidente Trump, che ha chiesto ai Redskins di cambiare nome, se davvero fossero schierati per il rispetto delle minoranze.

In questo caso, dei pellerossa, la traduzione di redskins, per una questione ormai decennale: una buona parte dell’opinione pubblica americana e anche una fetta di politica progressista ha spinto affinché la squadra di football della capitale cambiasse soprannome, perché dispregiativo verso gli indiani d’America. Insomma, un atto ostile contro i nativi americani. La vicenda è aperta dal 2013, quando un manipolo di membri democrat del Congresso inviarono una lettera al commissario della Nfl, Roger Goodell, al proprietario della squadra, Daniel Snyder e agli altri paperoni della Nfl affinché quel nome, ritenuto caricaturale, fosse cambiato, una volta per tutte.

Il contenuto sarebbe razzista perché il Merriam-Webster’s Dictionary riferisce: «Redskins è una definizione razzista e offensiva quanto lo è quella che comincia per N, riferita alle persone di colore». Ovvero negro, ma il termine Redskins è sempre rimasto al suo posto. Non si è mai cambiata strada, la risposta del patron di Washington è stata perentoria: con quel brand, con l’immagine dei pellerossa sul caschetto, sui polsini, sulla casacca della squadra si guadagnano milioni di dollari.

Il marchio Redskins è tra i più ricchi della Nfl, con un valore da 3,4 miliardi di dollari, secondo la rivista Forbes. E quindi l’immagine da western movie, da macchietta tipo Toro Seduto, non si tocca. Lo stereotipo dell’indiano d’America tira, vende. Il marketing era, ed è un passo avanti al politically correct. Ma, ancora oggi, non andate a raccontarlo ai nativi americani.