Con la resa del reggimento Azov, l’ultima unità delle forze armate ucraine che ancora resisteva all’interno dell’acciaieria assediata di Mariupol, Azovstal, riconosciuta ieri dal comandante in capo Denys Prokopenko su ordine del governo di Kiev, si pone la questione delle sorti dei prigionieri e di quale trattamento verrà riservato da parte dei russi ai membri del famigerato battaglione. Secondo quanto dichiarato dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, i soldati ucraini non feriti e che non hanno bisogno di cure saranno condotti (come chi li ha preceduti) in un’ex colonia carceraria della città di Olenivka, nella regione di Donetsk. Fonti ucraine precisano che si tratterebbe della Colonia penale numero 52, una delle più temute prigioni russe nei territori occupati.

L’altra, più famosa nel mondo – meno in Italia- è la prigione di Izolyatsia, aperta nel giugno 2014 dall’autoproclamatosi governo di Donetsk (Dpr) all’interno di un museo d’arte cittadino. La Izolyatsia Arts Foundation venne convertita in una colonia penale assolutamente impenetrabile alle organizzazioni internazionali (segnalata anche dall’ong russa Memorial, un’associazione indipendente nata dopo il 1989 come archivio storico delle violazioni dei diritti umani commesse nei Paesi dell’Urss e chiusa da Putin nel febbraio 2022. Il leader Oleg Orlov di «Memorial diritti umani» è stato arrestato e poi rilasciato per aver manifestato contro la guerra in ucraina, insieme a Svetlana Gannuskina, che ha fondato un’associazione per migranti e oggi lavora per far emigrare russi dissidenti).

Ma ciò che accadeva dentro il lager di Izolyatsia divenne di pubblico dominio quando il giornalista ucraino Stanislav Aseyev, che vi fu detenuto per due anni e mezzo, venne liberato per uno scambio di prigionieri e raccontò le torture subite in quel lager nel libro «The Bright Path. History of One Concentration Camp». Pochi giorni dopo l’inizio dell’attuale guerra mossa da Putin, sul suo profilo Facebook Aseyev scriveva con scoramento: «Mi stavo appena riprendendo dopo due anni di cure psicologiche e fisiche, e adesso mi ritrovo di nuovo nell’orrore di una guerra».

Ora, i soldati del battaglione Azov, di storica fede nazista, potrebbero essere giudicati in un tribunale di Donetsk? Rischiano la pena di morte? Di quali capi di imputazione potrebbero essere accusati?

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia che nel 2016 raccolse in un report tutti i crimini commessi da quel battaglione durante la guerra del Donbass, spiega: «Come prigionieri di guerra, sono soggetti alla Convenzione di Ginevra che impone il divieto assoluto di maltrattamenti e tortura. Non possono essere portati in territorio russo né possono subire un processo da un tribunale di un soggetto non riconosciuto come le “repubbliche” filorusse. E finita la guerra vanno restituiti all’Ucraina. Non possono subire un processo da un tribunale di un soggetto nazionale non riconosciuto. Hanno commesso crimini durante la guerra del 2014 sì, ma per quei crimini possono essere processati solo da un tribunale ucraino. Sarebbe un arbitrio farlo altrove, in Russia o nei territori ora occupati. Il diritto umanitario vige a prescindere dal nome che si dà alla guerra. Come d’altronde era un arbitrio da parte degli Usa considerare Guantanamo fuori dalla protezione offerta dalla Convenzione di Ginevra. Specularmente, anche il processo che sta terminando in Ucraina contro il soldato russo – anche se in questo caso egli viene accusato di un singolo omicidio – non trova grande legittimità perché è un processo istituito in tempo di guerra con poche garanzie per il diritto di difesa. Bisognerebbe affidare tutto al Tribunale penale internazionale».

In Russia la pena di morte è soggetta ad un moratoria, precisa Noury. «Il pericolo perciò – conclude – è che, dati i tempi, potrebbero essere emanate disposizioni per ripristinarla». Appositamente per i prigionieri di Azovstal.