«È banale dirlo ma i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino». Il neo presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato la butta lì, in un passaggio della riunione settimanale con gli assistenti di studio in vista dell’udienza di martedì 15 febbraio in cui la Consulta discuterà l’ammissibilità di otto quesiti referendari. Ma è tutt’altro che una frase banale. Da giorni infatti c’è tensione, nei comitati promotori, soprattutto in quelli dei due referendum proposti su iniziativa popolare e sorretti, nell’insieme, da quasi due milioni di firme: eutanasia legale e cannabis. Quelli sui quali si sta facendo sentire più forte la pressione della politica contraria al loro svolgimento. Gli altri sei quesiti sulla giustizia, infatti, sono stati proposti da nove consigli regionali di centrodestra (Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Veneto), dopo una campagna di raccolta firme promossa dalla Lega e dal Partito Radicale.

«APPRENDIAMO dai media che il referendum per la legalizzazione della cannabis rischia di essere cancellato dalla Corte costituzionale – scrive in una nota il comitato promotore dei referendum cannabis ed eutanasia – Le voci riprese dai giornali parlano di parere negativo per buona parte degli 8 quesiti proposti. Voci circolate addirittura prima del deposito dell’ultima memoria difensiva, quella del referendum cannabis, avvenuta stamattina (ieri, ndr) da parte degli avvocati Andrea Pertici e Giandomenico Caiazza, che difenderanno il quesito davanti alla Consulta. Vale la pena ricordare che la Costituzione prevede tre sole ragioni di esclusione: non è ammesso il referendum per leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto e di ratifica di trattati internazionali». Secondo gli estensori della nota, la Consulta ha «via via introdotto criteri aggiuntivi di inammissibilità che si prestano a interpretazioni più ampie. Che hanno reso la bocciatura dei quesiti una regola piuttosto che un’eccezione, come invece deve essere».

Eccezioni che Giuliano Amato conosce bene, visto che fu tra coloro che vollero bocciare il referendum sull’articolo 18. Eppure il presidente della Consulta ripete, anche in un tweet istituzionale, che «davanti ai quesiti referendari ci si può porre in due modi: o cercare qualunque pelo nell’uovo per buttarli nel cestino oppure cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione, perché il nostro punto di partenza è consentire, il più possibile, il voto popolare».

NELLE ULTIME ORE la Corte costituzionale sembrerebbe tentata di invertire l’ordine del calendario dei lavori di martedì prossimo, per affrontare prima il quesito del referendum sull’eutanasia (che abroga parzialmente l’art. 579 c.p., «omicidio del consenziente»), poi quello sulla cannabis (abrogazione parziale degli articoli 73 e 75 del T.U. 309/90 nella parte riguardante le droghe leggere), e lasciando per ultimi i sei referendum sulla giustizia.

Il leader della Lega Salvini ringrazia il presidente Amato «per il suo manifestato impegno a consentire il voto dei cittadini sui Referendum, a partire da quelli importantissimi sulla Giustizia, evitando scorciatoie tese a ostacolare questo percorso di democrazia. Sarebbe grave – sottolinea – se qualcuno pensasse di ostacolare o rallentare una urgente, necessaria e condivisa Riforma della Giustizia». Anche Italia viva sottolinea l’importanza dei sei quesiti proposti da Salvini, mentre il Psi e +Europa sottolineano l’importanza di «garantire il voto popolare» anche e soprattutto su quei temi che hanno mobilitato tanta partecipazione. L’unico che si augura che «la Consulta bocci il quesito sulla cannabis riconoscendo l’incostituzionalità del referendum in quanto lesivo della salute e della vita» è il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (Fd’I). Plaude alle parole di Amato il ministro per i rapporti col Parlamento Federico D’Incà (M5s), convinto della necessità di favorire «la partecipazione politica a tutti i livelli».

PERCHÉ, come evidenziano i promotori dei referendum eutanasia e cannabis, «in un momento di grande sfiducia verso le istituzioni», «rendere inaccessibile uno strumento come quello del referendum avrebbe contraccolpi negativi su tutto il sistema istituzionale oggi in profonda crisi». E il pelo nell’uovo potrebbe trasformarsi in un pericoloso boomerang.